La pandemia non ferma la Giornata di raccolta del farmaco, l’iniziativa promossa dalla Fondazione Banco Farmaceutico per donare un farmaco a chi ne ha più bisogno. Dal 9 al 15 febbraio, in oltre 5000 farmacie aderenti (riconoscibili perché espongono la locandina e il cui elenco è consultabile su questo sito), i cittadini potranno devolvere uno o più medicinali (541.175 nel 2020, pari a 4.072.346 di euro) che poi raggiungeranno più di 1800 enti caritativi e assistenziali. Queste realtà si prendono cura delle persone indigenti in tutta Italia, offrendo loro, gratuitamente, cure e farmaci.
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Di quali farmaci c’è più bisogno?
«Anche quest’anno, l’iniziativa è supportata da oltre 20.000 volontari che, laddove possibile, si posizioneranno fuori dalle farmacie per informare i cittadini, i quali saranno guidati, nell’acquisto del medicinale da donare, dai 17.000 farmacisti aderenti» interviene Filippo Ciantia, direttore generale della Fondazione Banco Farmaceutico. «I farmaci dei quali c’è più bisogno, e che quindi dobbiamo donare maggiormente, sono quelli che non necessitano di prescrizione medica e che, nei mesi precedenti, abbiamo imparato a conoscere bene, cioè antipiretici, antidolorifici e antinfiammatori» continua il dottore.
Giornata di raccolta del farmaco ancor più preziosa in epoca Covid
Quella della Giornata di raccolta del farmaco è sempre un’iniziativa preziosa ma lo è ancor di più quest’anno perché a causa del Covid-19 si sono ingrossare le fila dei poveri e le realtà assistenziali si sono ritrovate in grande difficoltà. Nel 2020, infatti, 434.000 persone indigenti hanno avuto bisogno di medicinali, ma non hanno potuto acquistarli per ragioni economiche. Di questi 173.000 individui hanno rinunciato a curarsi perché, impauriti dal virus, non hanno chiesto aiuto agli enti. E se l’hanno fatto, in molti casi, le associazioni e le istituzioni che fornivano loro sostegno, hanno subito l’impatto della pandemia.
«Stando all’ottavo Rapporto sulla povertà sanitaria, che noi di Banco Farmaceutico abbiamo stilato e diffuso, il 40,6% degli enti che provvedevano a fornire servizi sanitari agli indigenti ha dovuto chiudere durante il primo lockdown. Il 5,9% non solo ha chiuso i battenti ma non ha nemmeno più riaperto, lasciando le persone povere ulteriormente deprivate della necessaria protezione sociale» conclude Ciantia.