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Giorgio Marchesi: «Soffro di mal di città»

L’iperconnessione e la vita sui social non vanno tanto d'accordo con l'attore. Il periodo più buio della sua vita è stato quando il primo lockdown lo ha costretto nella casa di Roma. È cresciuto circondato dalla natura e privarsene lo fa stare male

Sono nato e cresciuto nel quartiere Carnovali di Bergamo, alle porte delle valli Seriana e Brembana, all’interno di quel meraviglioso contesto rappresentato dal Parco delle Orobie bergamasche. Forse non tutti sanno che questa è una delle aree naturali più estese della Lombardia, disseminata di rilievi montuosi, torrenti e ampie vallate. Quando ero piccolo mio padre comprò anche una baita immersa nella natura di questa zona, dove io e la mia famiglia trascorrevamo intere giornate non appena ci era possibile. Era un posto bellissimo che mi ha permesso di entrare ancor di più in connessione con le meraviglie naturalistiche che avevamo intorno. Questo rifugio, diversamente da quelli nei quali siamo abituati a soggiornare oggi, non era affatto attrezzato: mancava l’acqua e non c’era corrente elettrica. Ma per noi questo non ha mai rappresentato un inconveniente, anzi, eravamo felici di poterci arrangiare con ciò che l’ambiente circostante aveva da offrirci. Ricordo che l’acqua veniva portata con un tubo da una cascata lì vicino e raccoglievamo la legna dal bosco per accendere il fuoco e qualche candela.

Anche se quarant’anni fa i nostri genitori non sentivano quell’urgente necessità di staccare dalla quotidianità, che era certamente meno frenetica e iperconnessa di quella dei loro figli molto tempo dopo, rifugiarsi in quell’oasi di quiete ed essenzialità era per tutti un toccasana, soprattutto per la mente. Non ci servivano gli smartphone, i social network e i reality per stare bene con noi stessi e gli altri: ci bastavano un bel piatto di polenta coi funghi, delle lunghe passeggiate, i lavori all’aria aperta e quello spirito d’avventura in stile Indiana Jones per sentirsi subito più leggeri e rilassati. Nient’altro. Questo attaccamento nei confronti della natura e, al contempo, questa leggera insofferenza verso la continua sovraesposizione mediatica e digitale, mi sono rimasti dentro nonostante siano trascorsi tanti anni da quelle escursioni nelle valli orobiche e mi sia ormai stabilizzato, soprattutto per motivi di lavoro, in città.

Gruppo San Donato

Durante il primo lockdown mi sentivo come un animale in gabbia

Già, la città. Amo Roma, Milano e tutti quei contesti urbani nei quali ho avuto la fortuna di stare per qualche tempo grazie alla mia professione, ma appena posso fuggo nel verde, lontano da palazzoni e clacson impazziti. Ecco perché il primo lockdown, trascorso tra le quattro mura del mio appartamento romano, mi ha messo parecchio in crisi. Le notizie che arrivavano da Bergamo erano un continuo pugno nello stomaco, oltre al fatto che la nostra vita – e in quel momento non sapevamo a cosa saremmo andati incontro – stava assumendo una piega assolutamente non prevista, fuori dall’ordinario. In questo turbinio di emozioni contrastanti ciò che più mi ha fatto soffrire sono state le restrizioni alla libertà di movimento e la conseguente impossibilità di lasciare la città, dove appunto mi trovavo. Come tante altre persone mi sentivo come un animale in gabbia, costretto in un luogo chiuso e in uno spazio limitato… Io, che anche solo per leggere un libro vado al parco piuttosto che stare in casa. In quelle settimane di chiusura forzata ho sentito fortemente la mancanza della montagna e di quella connessione che, come dicevo, ho sempre avuto con gli elementi naturalistici e alla quale non ho mai rinunciato, seppur tra mille impegni e trasferte.

Sono insofferente alla sovraesposizione digitale 

Per sopperire a questa mancanza ho intensificato le mie sessioni casalinghe di yoga, che mi hanno permesso di mantenere i nervi un po’ più saldi e di ritrovare il mio centro interiore, ma senza seguire i videotutorial tanto in voga in quel periodo o condividere gli allenamenti con amici e parenti in videochiamata. Non sono mai stato un social-addicted con lo smartphone sempre in mano, ma in quel particolare contesto, nel quale regnavano sì angoscia e solitudine (ricordate l’immagine-simbolo di Papa Francesco che pregava in una piazza San Pietro deserta?) e paradossalmente anche un’eccessiva e forzata volontà di condividere, apparire, postare, connettersi, mi sono tenuto alla larga da questa sovraesposizione virtuale. Avevo solo voglia di evadere e portare i miei ragazzi, costretti a fare sacrifici più grandi di loro, in mezzo alla natura, per ripristinare quel contatto primordiale con l’ambiente e col proprio corpo.

Anche il colore verde mi rilassa

E infatti così è stato: non appena i decreti ministeriali lo hanno permesso, ce ne siamo andati in campagna, lontani dall’asfalto e dal cemento, poco fuori la Capitale. Tornare finalmente a fare due passi in un prato è stato come cacciar via quella nebbiolina che offuscava la mia mente, un po’ come quando si alza il sipario e dal buio e dal silenzio si passa alla luce e al dialogo. Non solo: penso che anche il colore verde in sé eserciti su di me un effetto rilassante, perché la vista di una fitta e sana vegetazione, dalle tonalità verdastre appunto, riesce ogni volta a mettermi di buonumore. Non è necessario macinare chissà quanti chilometri per alleggerire la mente, scaricare la rabbia, l’ansia, la tristezza e talvolta anche l’aggressività, spesso generate dall’iperstimolazione dei nostri sensi in contesti frenetici, come appunto la città. Per ritrovare un po’ di pace interiore bastano un parco vicino a casa o i giardinetti del proprio quartiere: stare in mezzo alle piante e godersi un po’ di sano silenzio vi farà subito ricaricare le batterie.

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Chiara Caretoni

Giornalista pubblicista, lavora come redattrice per OK Salute e Benessere dal 2015 e dal 2021 è coordinatrice editoriale della redazione digital. È laureata in Lettere Moderne e in Filologia Moderna all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha accumulato diverse esperienze lavorative tra carta stampata, web e tv, e attualmente conduce anche una rubrica quotidiana di salute su Radio LatteMiele e sul Circuito Nazionale Radiofonico (CNR). Nel 2018 vince il XIV Premio Giornalistico SOI – Società Oftalmologica Italiana, nel 2021 porta a casa la seconda edizione del Premio Giornalistico Umberto Rosa, istituito da Confindustria Dispositivi Medici e, infine, nel 2022 vince il Premio "Tabacco e Salute", istituito da SITAB e Fondazione Umberto Veronesi.
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