Emanuele Guarini, 23 anni, di Pistoia, nel 2020 è stato il primo paziente in Italia con talassemia a sottoporsi alla terapia genica. È guarito, come sua sorella Erica, 19 anni, anche lei nata con la stessa malattia.
In questo articolo
Mi hanno diagnosticato la talassemia ad appena due anni e mezzo
Quand’ero piccolo i pediatri la chiamavano febbre oscura: non riuscivano a capire perché avessi rialzi di temperatura fin dai tre mesi di vita. Poi, a due anni e mezzo la febbre raggiunse i 40 gradi e i miei genitori, allarmati, mi portarono d’urgenza in ospedale. Sono stato ricoverato per dieci giorni. I medici si accorsero che non solo avevo contratto la mononucleosi, ma che la mia emoglobina aveva assunto valori notevolmente inferiori rispetto al normale. Fu allora che, grazie all’aiuto del reparto di oncoematologia di Pisa, finalmente individuarono l’origine di ogni mio problema: la talassemia.
Anche a mia sorella hanno diagnosticato la stessa malattia
Ho iniziato a subire trasfusioni ogni venti giorni all’Ospedale Santa Chiara di Pisa, per ben 18 anni. Nel frattempo, nel 2003 è nata mia sorella Erica e anche a lei, purtroppo, è stata diagnosticata la talassemia. Avevo solo quattro anni e fin da piccoli siamo stati alleati in questa battaglia contro la malattia. Ricordo che alle sue prime trasfusioni mi faceva stare male vederla singhiozzare e per aiutarla le svelai il mio segreto: «Stringi forte forte i denti, così sentirai meno dolore», le sussurravo all’orecchio.
Entrambi non abbiamo avuto un’infanzia spensierata. Io, all’età di sei anni, a causa di un importante ingrossamento della milza, ho dovuto affrontare la mia prima operazione, la splenectomia, ovvero la rimozione di quest’organo, mentre mia sorella ha dovuto subire a dieci anni l’asportazione della cistifellea. Entrambi gli interventi erano dovuti a conseguenze provocate dalla talassemia. Conducevamo una vita limitata dalla malattia, ci sentivamo spesso molto stanchi, dovevamo dormire molte ore e trascorrevamo la maggior parte del tempo in casa, anche durante le vacanze perché i viaggi dovevano essere programmati in funzione dei nostri controlli e delle nostre trasfusioni.
Sono stato il primo paziente in Italia a essere trattato con l’editing del genoma
Un primo raggio di sole lo abbiamo intravisto qualche anno fa, grazie a nostra madre: attraverso ricerche sul web, riuscì a prenotare un colloquio all’Ospedale San Raffaele di Milano per una nuova cura, la terapia genica. Ero pieno di speranza per essere stato messo in lista per questa sperimentazione, ma passarono cinque anni e non fummo chiamati. Mamma però, non si è mai arresa: continuava a fare ricerche e chiamate, tanto che riuscì a prenotare un altro colloquio per questa cura sperimentale, stavolta all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Parlammo con il dottor Algeri, il quale ci spiegò in cosa consisteva la procedura e registrò i nostri documenti.
Personalmente, avevo ormai perso le speranze di essere contattato, ma il 5 maggio 2020 arrivò la telefonata da Roma. Mi chiesero di pensarci bene prima di dare una risposta, ma io ero pronto, ho accettato senza riserve. Da una parte ero incredulo, poi ben presto la felicità ha oscurato qualsiasi altra emozione: ero il primo paziente in Italia a essere trattato con l’editing del genoma grazie a un metodo elaborato da due biochimiche, una francese e l’altra americana, che hanno ricevuto il premio Nobel per la chimica. Ero davvero emozionato e, soprattutto, avevo una speranza concreta di guarigione.
Ho iniziato la terapia genica con autotrapianto di midollo
Ho iniziato la terapia genica a novembre 2020 con autotrapianto del midollo, dopodiché ho dovuto trascorrere 38 giorni in camera sterile. Il tempo sembrava essersi fermato, mia madre era sempre con me e faceva del suo meglio per farmi star bene, dandomi tutto l’amore di cui è capace. Il periodo peggiore è stato quello dopo la chemio, quando ho avuto una mucosite, un’infiammazione della mucosa della bocca e della faringe, uno degli effetti collaterali più comuni di terapie come la chemio. Non potevo parlare, né bere né mangiare, il dolore era tale che hanno dovuto somministrarmi la morfina.
Trascorso questo brutto periodo, però, ho dovuto solo aspettare che i valori tornassero nella norma fino a che sono arrivate le tanto attese dimissioni dall’ospedale. Ho continuato la terapia genica fino all’agosto del 2021 e adesso, finalmente, sono un ragazzo libero. Anche mia sorella, che doveva fare trasfusioni ogni 15 giorni, è stata sottoposta a questa cura, sapevo che se non l’avessi fatta io lei non si sarebbe sottoposta. Oggi anche Erica è libera dalla talassemia e può vivere serenamente la sua vita. A volte mi sembra incredibile poter decidere di andare dove voglio senza sentirmi più terribilmente stanco o dover organizzare i miei impegni in base alle trasfusioni: non ringrazierò mai abbastanza i medici e soprattutto il professor Franco Locatelli per avermi dato una nuova vita.