Il dolore cronico è una condizione debilitante che colpisce un ampio numero di persone in Italia. Si tratta di mal di schiena, mal di testa, dolori ai muscoli o alle ossa persistenti, ma anche fibromialgia, vulvodinia, dolore neuropatico, che ha conseguenze su altre parti del corpo. Così per un mal di schiena si inizia a camminare male, per una cervicale si hanno le vertigini. Il dolore cronico può essere scatenato da una varietà di condizioni, come lesioni fisiche o disturbi neurologici, ma con il passare del tempo il legame con la patologia originaria si perde e diventa esso stesso una malattia.
Nonostante il problema interessi oltre il 28% degli italiani, come rilevato da un’indagine sul territorio, è un tema spesso trascurato, che rimane nascosto, perché l’attenzione pubblica pare concentrarsi su questioni di salute più immediate e visibili.
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Differenza tra dolore cronico e acuto
Si distingue dal dolore acuto, che ha una durata limitata e generalmente deriva da una specifica malattia o lesione, perché perdura o si ripete per più di 3-6 mesi. Le persone affette lo descrivono come un peso costante che li affligge fisicamente, psicologicamente ed emotivamente. Questa condizione può limitare la capacità di svolgere attività quotidiane, compromettere il sonno, causare stress, ansia e depressione.
La campagna di sensibilizzazione
Con l’obiettivo di informare in modo corretto, semplice e diretto i cittadini su cosa sia il dolore cronico, perché è importante non sottovalutarlo e cosa si può fare per superarlo, Sandoz ha lanciato la campagna “E tu sai cosa si prova? Superare il dolore si può”. Protagonista dell’iniziativa un video ironico interpretato dalla coppia comica Corrado Nuzzo e Maria Di Biase (lo puoi vedere qui e sui profili social degli artisti), che in autunno approderà nei cinema italiani.
La scelta di due comici per veicolare un contenuto molto serio, di salute, è una strategia vincente e sempre più diffusa, perché, come hanno affermato gli stessi Nuzzo e Di Biase, «la comicità permette di diffondere messaggi importanti in maniera leggera ma efficace. E soprattutto senza banalizzare situazioni di vita reale. Una battuta ti rimane in testa, lascia subito un segno, ma sedimenta e, in un secondo momento, può suscitare anche una riflessione più profonda. Speriamo con il nostro video di contribuire a diffondere il diritto a non soffrire e curare il dolore cronico».
Al video si aggiungono anche le informazioni presenti sulla pagina web Scelte di Salute e i materiali informativi che verranno distribuiti nelle farmacie a partire da settembre. La campagna è svolta con il patrocinio d’Associazione italiana per lo studio del dolore (Aisd), FederDolore-SICD, Fondazione Isal, Fondazione Onda e la Società italiana di medicina generale (Simg).
Dolore cronico: ritardo nella diagnosi
Perché Il bisogno di lanciare un’iniziativa del genere? Perché come emerge da un’indagine realizzata da Elma Research e promossa dalla Fondazione Onda, l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e del genere, c’è bisogno di maggiori informazioni. L’analisi delle risposte del campione (600 uomini e donne, tra i 18 e i 70 anni), evidenzia che il 34% ha un’esperienza diretta con il dolore cronico, ma solo il 23% ha ricevuto una diagnosi specifica. Nonostante circa il 60% di chi lo prova lo definisca un dolore forte, con punteggi oltre a 7 sulla Pain Rating Scale, capace di interferire con la quotidianità e il benessere psico-fisico.
«Colpisce il ritardo con cui questa condizione invalidante viene riconosciuta» commenta Nicoletta Orthmann, coordinatrice medico-scientifica di Fondazione Onda. «Il paziente aspetta circa due anni prima di rivolgersi a una figura di riferimento, che spesso è il medico di famiglia. E poi trascorrono in media tre anni dalla comparsa dei sintomi alla diagnosi effettiva». Oltre al medico di famiglia, di frequente le persone si rivolgono anche al farmacista (33% dei casi), il quale suggerisce soprattutto l’assunzione di farmaci e in meno occasioni di rivolgersi a un medico.
Dolore cronico: gli effetti del ritardo diagnostico
Il ritardo diagnostico ha un effetto diretto sulla vita di chi soffre di dolore cronico, perché impatta sulla gestione terapeutica della patologia, sulla fisicità e sulla psicologia. L’intensità delle fitte, per la maggior parte dei pazienti molto elevata, interferisce notevolmente sul benessere psicologico (49%) e nella quotidianità (vita lavorativa, hobby e abitudini quotidiane 45%).
«È fondamentale che il dolore venga riconosciuto e trattato fin dal suo esordio nell’ambito di una presa in carico globale secondo le linee guida diagnostico-terapeutiche legate alle specifiche condizioni di dolore», spiega la Maria Caterina Pace, ordinario di Anestesia e Rianimazione, Università degli Studi della Campania L. Vanvitelli di Napoli, e past president AISD.
La legge 38
Il problema italiano rimane l’accessibilità alle terapie per il dolore cronico che, essendo il Sistema sanitario organizzato a livello regionale, oggi è più o meno efficace in base alle diverse regioni. Esiste infatti una legge, la numero 38, che dal 2010 esiste per regolamentare e semplificare l’accesso alla terapia del dolore per tutti i pazienti cronici. Di questo diritto, però, ne sono consapevoli in pochi e spesso i medici di base non indirizzano i pazienti alle giuste cure.