C’è chi è andato temporaneamente a vivere in un’altra casa, chi ha mandato i figli dai nonni, chi si è ritagliato uno spazio in casa per stare a distanza di sicurezza. L’epidemia di coronavirus ha avuto un impatto sulla vita professionale degli operatori sanitari. Ma soprattutto l’ha avuta sulla quotidianità e sulle relazioni con partner e figli. Il disagio riguarda in particolare le donne.
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Lontano dai figli
Secondo l’indagine condotta da Women For Oncology Italy – che ha coinvolto circa 600 operatori sanitari (il 75% donne) – un terzo dei professionisti ha deciso di cambiare alloggio, nel 7,6% dei casi è stato il nucleo familiare a trasferirsi in un’altra abitazione, mentre nel 6,7% delle famiglie sono stati allontanati i bambini. Tra gli infermieri e i medici che hanno deciso di rimanere a casa il senso di precauzione è stato molto forte e così sono state adottate misure per ridurre il rischio di infezione. Divisione della zona notte, mantenimento delle distanze di un metro o più e rinuncia ai contatti ravvicinati, soprattutto con i piccoli. Così oltre il 60% degli intervistati dice di non avere contatti ravvicinati con i figli da una settimana. Il 32% da più di due settimane.
Lontani anche dai genitori
Il distanziamento sociale, come per il resto della popolazione, ha coinvolto anche il rapporto con gli anziani, la categoria più gravemente colpita dalla pandemia. L’80,7% degli intervistati ha dichiarato di non vedere i propri genitori da oltre 14 giorni.
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La paura di contagiare i familiari
Il comportamento nasce dalla paura di sentirsi maggiormente esposti al contagio a causa del lavoro in ospedale. Dall’inizio della pandemia in Italia sono stati contagiati quasi 17.000 professionisti sanitari. Perciò l’83% degli operatori rispondenti alla survey è consapevole del rischio.
L’impatto del virus
L’indagine scatta una fotografia chiara del disagio sociale che stanno vivendo infermieri, medici, primari. «Questa emergenza sta cambiando non solo le nostre abitudini come professionisti. Ma anche come genitori e caregiver» dichiara Rossana Berardi, vice presidente di Women for Oncology Italy e direttore della Clinica Oncologica Ospedali Riuniti di Ancona, Università Politecnica delle Marche.
«Molti operatori che stanno lavorando in prima linea sono donne e madri, costrette ad allontanarsi dai loro figli o a non poter più accudire i genitori anziani. Siamo preoccupati e costretti a isolarci. Con tutte le conseguenze psicologiche che questo comporta».
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