Testo di Laura Nebuloni,
blogger di GALILEO
C’è chi si lamenta per una puntura di spillo e chi invece rimane calmo perfino sulla sedia del dentista. Finora ritenuta un’esperienza del tutto soggettiva, il dolore potrebbe diventare qualcosa di misurabile al pari di una febbre. Un gruppo di ricercatori della Stanford University School of Medicine guidati da Sean Mackey è infatti riuscito a mettere a punto un sistema per diagnosticare il dolore basato sull’attività fisiologica cerebrale – anziché sulle sensazioni espresse dal paziente – in modo da fornire una valutazione oggettiva del livello di sofferenza fisica. Lo studio è stato pubblicato su PLoS ONE.
L’idea di un «dolorimetro» – come è stato ribattezzato dai ricercatori – risale a un paio di anni fa, suggerita a Mackey dalle osservazioni di Hank Greely della Stanford Law School durante un evento tenutosi presso la stessa università. Secondo Greely, esperto in casi legali, etici e sociali inerenti le bioscienze, un metodo accurato capace di determinare se qualcuno stia o meno soffrendo sarebbe stato di grande aiuto per il diritto, dal momento che ogni anno sono centinaia di migliaia le cause che riguardano l’esistenza o meno di dolore in pazienti con sofferenze croniche.
Il primo passo dei ricercatori è stato quello di creare un modello di riferimento, ovvero cercare di capire in che modo la sofferenza fisica fosse tradotta a livello cerebrale. Per farlo gli scienziati hanno eseguito la risonanza magnetica funzionale (fMRI) del cervello di otto persone, in condizioni normali e mentre un oggetto caldo veniva loro applicato sul braccio, causando dolore moderato. In questo modo i ricercatori hanno registrato l’andamento della risposta cerebrale con e senza dolore e hanno utilizzato questi dati per elaborare al computer un modello «virtuale» di sofferenza. Solo dopo sono passati alla fase di test: otto soggetti diversi sono stati sottoposti a fMRI, e contemporaneamente alla sollecitazione termica. Nell’81% dei casi il computer è riuscito a stabilire con successo se i partecipanti sentissero o meno dolore.
«Un punto chiave da ricordare è che questo approccio ha misurato oggettivamente il dolore termico in condizioni di laboratorio controllate», ha spiegato Mackey. «Bisogna stare attenti a non generalizzare questi risultati dicendo che possiamo misurare il dolore in ogni circostanza» ricercatori hanno infatti sottolineato che ulteriori studi saranno necessari per determinare se questo metodo funziona in diversi tipi di dolore, come per esempio quello cronico, e se la tecnica possa essere applicata anche per distinguere tra dolore e altre sensazioni, come l’ansia o la depressione. Tecnica che, come spiegato da Mackey, permettendo di misurare il dolore fisiologico, potrebbe essere di aiuto per molti tipi di pazienti, come i più piccoli e gli anziani, incapaci a volte di comunicare il loro livello di dolore.
Laura Nebuloni
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