Fabio Ridolfi ha scelto la sedazione profonda per spegnersi. Il quarantaseienne marchigiano di Fermignano era tetraplegico da molti anni. Riusciva solo a comunicare con il movimento degli occhi. Intoppi burocratici gli hanno fatto decidere per la sedazione palliativa continua profonda al posto del suicidio assistito, a cui aveva in realtà diritto, dopo una sentenza della magistratura italiana.
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Cos’è la sedazione profonda?
Il nome per esteso è sedazione palliativa continua profonda. La legge di riferimento è quella sulle cosiddette disposizioni anticipate di trattamento o DAT, in vigore dal 31 gennaio 2018. La norma prevede che il paziente possa richiedere di essere sedato in modo continuativo e di interrompere contestualmente ogni terapia, alimentazione compresa. È definita profonda, perché causa anche la perdita di coscienza. Si chiama palliativa perché provoca l’assenza di dolore. Questo tipo di sedazione avviene attraverso l’infusione di un mix di farmaci. Quando il corpo si abitua piano piano alla sedazione si aumenta la dose dei medicinali.
Chi decide?
Per intraprendere questo procedimento di fine vita è determinante il parere dei medici che curano il paziente e di esperti pallitivisti. Naturalmente restano fondamentali le decisioni del paziente o dei suoi familiari. La famiglia è coinvolta quando il paziente non sia più capace di intendere. L’iter in questo caso si semplifica, se il paziente ha lasciato scritte le disposizioni anticipate di trattamento. In presenza delle Dat, può decidere anche il medico da solo.
Quali sono le differenze tra suicidio assistito, eutanasia e sedazione profonda?
Il suicidio assistito e l’eutanasia rientrano nella categoria della morte medicalmente assistita. Vengono usati farmaci che fermano l’attività del cuore e dei polmoni. Il paziente perde la vita in pochi minuti. Nella sedazione profonda c’è appunto solo sedazione e nessun farmaco per provocare direttamente il decesso. Il tempo in cui il paziente muore dipende molto dalle sue condizioni di salute generale. Fabio Ridolfi è morto in un giorno, ma la media è tra i tre e i cinque.
Il suicidio assistito
Nel nostro Paese l’eutanasia è vietata, mentre il suicidio assistito è possibile grazie alla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale. Occorre che ci siano quattro condizioni fondamentali:
- il paziente dev’essere capace di intendere e volere,
- la malattia deve essere irreversibile,
- ci devono essere gravi sofferenze fisiche o psichiche,
- la sua sopravvivenza dev’essere garantita solo da trattamenti di sostegno vitale.