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Martina Colombari: ho preso la varicella da mio figlio Achille
Da piccola le classiche malattie infettive dell’infanzia le ho avute un po’ tutte, almeno così pensavo, finché, due anni fa, ho preso la varicella da mio figlio Achille. Il guaio è che stavo girando due fiction contemporaneamente: Il restauratore a Belgrado e Al di là del lago in Umbria. Non è stata una passeggiata.
Mancava una settimana alla fine dell’asilo e per Achille la varicella sembrava scampata. Tutti i suoi compagni l’avevano presa tranne lui e un’amichetta, Lucrezia. Da Belgrado scrissi un messaggio alla mamma della bambina, esprimendo soddisfazione perché consideravo i nostri figli ormai «fuori pericolo». Sono state le ultime parole famose. Poco dopo mi ha chiamato Alessandro, mio marito, per comunicarmi che Achille si era ammalato.
Non volevo crederci e dato che dovevo rientrare a casa per il fine settimana, mi sono interrogata sul da farsi. In cerca di rassicurazioni ho telefonato a mia madre per sincerarmi di aver già avuto la varicella. A me sembrava di sì, ma non ne ero sicura e anche lei non ha saputo rispondermi con precisione.
Martina Colombari: ho pensato al vaccino ma era troppo tardi
Di fronte ai suoi dubbi mi sono un po’ innervosita: «Possibile», le ho detto, «che non ricordi le malattie che ho avuto? Eppure hai una figlia sola!». Mi è passato per la testa anche di fare il vaccino, ma era già troppo tardi. La produzione, al corrente della mia apprensione per Achille, mi consigliava di non partire, per prudenza, dato che rischiavo il contagio.
Le precauzioni non sono bastate
Dopo dieci giorni di assenza non me la sentivo proprio di non tornare: dovevo vedere mio figlio. Mi ero ripromessa di non stargli troppo vicino, di non sbaciucchiarlo e abbracciarlo troppo, ma evidentemente le mie cautele non sono bastate.
Non è facile per una mamma mantenere la distanza di sicurezza e, se ho evitato i baci, non ho potuto fare a meno di prenderlo in braccio. Sono tornata a Belgrado e per due settimane è andato tutto bene, ma il quindicesimo giorno, mentre mi spogliavo davanti alla sarta, ho notato una piccola macchia rossa sulla pancia e mi sono sentita gelare.
Mi sono riempita di pustole
Ho chiamato immediatamente la pediatra di mio figlio, le ho descritto nei minimi particolari la vescichetta che si era formata e lei non ha avuto dubbi: varicella.
La sera ero già piena di pustole. Mi sentivo anche in colpa nei confronti della produzione, ma non ho detto niente sul set e il giorno dopo sono rientrata in Italia, come di consueto, per il fine settimana.
Mio figlio era dispiaciuto ma anche divertito a vedere la mamma in quelle condizioni. Io mi preoccupavo di risolvere la situazione il più presto possibile.
Contro il prurito? Talco e antistaminici
Ho consultato sette o otto medici, sperando di trovare un farmaco miracoloso. Mi hanno confermato la terapia della pediatra: un antivirale per bocca da prendere tre volte al giorno per una settimana e un antistaminico contro il prurito. Ho mantenuto il silenzio con la produzione, col rischio di contagiare tutti, è vero, ma interrompere le riprese sarebbe stato impossibile e così ho deciso di far finta di niente.
Per fortuna non avevo pustole in viso e sulle mani, nasconderle sarebbe stato impossibile… Certo, il prurito era molto intenso. Usavo talco mentolato a gogò, per cercare di alleviare il fastidio e, appena le vesciche si seccavano, le cospargevo con una lozione a base di zinco, utile fra l’altro a evitare la comparsa di cicatrici.
Mi ha aiutato anche mio figlio a tamponarla sulla schiena, è stato un gesto che ricordo con grande tenerezza. Le zone più colpite sono state l’addome e la testa. Al di là del prurito non ho avuto altri fastidi e comunque non mi sarei fatta spaventare. Sono molto resistente e ho lavorato anche con la febbre sopra i 39 gradi.
Martina Colombari: per fortuna non mi sono rimaste cicatrici
Sono guarita nel giro di due settimane e fortunatamente non mi è rimasta alcuna cicatrice. Ho tirato un sospiro di sollievo: non sembra possibile eppure i miei colleghi non si sono accorti di niente e, soprattutto, nessuno si è ammalato. Certo, mi viene ancora da sorridere se penso alla reazione di qualche tassista o di altri passeggeri in aereo che mi sentivano commentare al telefono l’evoluzione della malattia: erano nel panico e si rivolgevano a me come fossi un’appestata. Tutto per un fine settimana passato accanto ad Achille, ma al cuore non si comanda e per un figlio si fa questo ed altro.
Martina Colombari (confessione raccolta da Francesca Turi)
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