«Mentre impacchetto gli ultimi doni di Natale, mi blocca una fitta fortissima al fianco», racconta Maria Grazie Cucinotta. «Non riesco a stendere le gambe, non posso raddrizzare la schiena. In ospedale la diagnosi e la corsa in sala operatoria per evitare che il mio organismo vada in setticemia».
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«Una febbre altissima e quella sensazione di calore intenso che saliva dalla pancia e mi toglieva la ragione… Ho ancora questo flash stampato nella memoria, anche se sono passati un paio di anni.
Era dicembre del 2006, stavo impacchettando gli ultimi regali di Natale. Una fitta fortissima al fianco mi ha bloccato. Mi sono piegata letteralmente in due: non riuscivo a stendere le gambe e a raddrizzare la schiena.
Ho pensato a una colica, di aver esagerato con gli stravizi alimentari. Cercavo una spiegazione, ma mio marito mi ha presa subito in braccio e mi ha portata dritta al pronto soccorso.
In ospedale mi guardavano come fossi un’extraterrestre. Ricordo un infermiere che, mentre mi lamentavo per il dolore, mi ha chiesto se avevo il seno rifatto. E io, con la mente annebbiata: “No, è il mio”. È stato un problema mettermi in barella: avevo una contrazione muscolare fortissima e non riuscivo a stendere le gambe.
“Signora”, mi ha detto un medico con l’aria agitata, “lei forse ha una peritonite in corso. Dobbiamo farle alcune analisi del sangue e una Tac per confermare la diagnosi. Poi operarla d’ urgenza”.
Più di tre ore in sala operatoria
Un prelievo? Ma io davanti a una siringa svengo! Sul serio. Preferirei essere tagliata in due con un’accetta piuttosto che farmi infilare un ago in vena. “Rischi di morire e pensi alla puntura?”, ha esclamato mio marito, trattenendo a fatica l’angoscia. Non sapevo come rispondergli.
Ma quando un dottore ha provato a eseguire il prelievo, sono collassata più di una volta. Per infilare l’ago, sono dovuti intervenire i medici della pediatria, quelli del reparto adulti si sono arresi.
Alla fine, un dottore trentenne è riuscito a togliermi il sangue e anche a iniettarmi il liquido di contrasto per la Tac. Intanto stavo malissimo. Un’appendicite trascurata mi aveva indotto una peritonite e adesso bisognava intervenire con estrema rapidità, per evitare che il mio organismo andasse in setticemia: un’infezione tremenda, che può portare alla morte.
Sono stata sotto i ferri per più di tre ore. Prima dell’intervento hanno cominciato a sedarmi, ricordo la sensazione di freddo intenso che ho provato durante l’attesa, sul lettino. I medici sono stati bravissimi: ho afferrato la mano di uno, la mano di un altro e mi sono raccomandata. Poi il vuoto assoluto.
Appena tornata a casa la ferita si è riaperta
Ho saputo, al risveglio, che mi avevano aperto l’addome, ripulito il peritoneo, quella membrana che avvolge gli organi interni, e tolto l’appendice, “particolarmente lunga e tortuosa”, mi hanno riferito.
Il giorno dopo l’operazione ero ancora stordita, sono stata ricoverata un altro giorno, ma a un certo punto non ce l’ho fatta più: ho firmato e sono scappata. In clinica fremevo, pensavo al Natale, a mia figlia.
Sono uscita promettendo che sarei stata a letto, ma quando ho aperto la porta di casa e Giulia mi si è avvinghiata addosso, non ho potuto fare a meno di prenderla al collo. Ho sentito un dolore forte: la ferita si è aperta e ha cominciato a sanguinare. Ho dovuto farmi rimettere i punti.
Mi sono comportata bene per qualche giorno: sono rimasta il più possibile sdraiata, usavo una fascia elastica per proteggere la zona operata. Ma i guai non erano finiti: durante il pranzo di Natale, luculliano, non sono riuscita a resistere davanti alle lasagne e, disobbedendo ai medici, ne ho mangiato un piattone. Ho subito pagato lo scotto, mi sono venute coliche tremende. E i medici, vedendomi ricomparire per la terza volta, si sono arrabbiati, giustamente.
Da quel momento mi sono messa in riga, seriamente. Non voglio che il mio corpo si ribelli ancora una volta e mi presenti un altro conto così salato. E non voglio altre cicatrici sulla mia pelle. Oltre a quella del parto cesareo, adesso ne ho, lì vicina, una di sei centimetri, per questo scherzo dell’appendicite trascurata».
Maria Grazie Cucinotta (testo raccolto da Francesca Turi per OK La salute prima di tutto di settembre 2008)