Luc Montagnier, premio Nobel per la medicina nel 2008, ha scoperto insieme con Robert Gallo il virus Hiv, responsabile dell’Aids. L’immunologo ha incontrato papa Wojtyla nel 2002, tre anni prima della sua morte. Giovanni Paolo II era afflitto ormai in modo grave dalla malattia di Parkinson. E Montagnier gli ha donato una confezione di estratti di papaya fermentata, da lui ritenuti utili contro questa patologia. Ecco come Montagnier ricorda quell’incontro e la vittoria del Nobel.
«La mia prima reazione al Premio Nobel è stata quella di pensare a tutti i malati di Aids e a tutti quelli che sono ancora vivi e combattono contro la malattia. Sono convinto che entro il 2012 potremmo riuscire a ottenere un vaccino terapeutico contro l’Aids, se i finanziamenti fossero disponibili: badate bene, ho detto terapeutico, e non preventivo. Insomma, non penso a un vaccino tradizionale, da dare alle persone sane che non vogliono infettarsi (questo tipo di vaccino è molto difficile da realizzare, per varie ragioni). Sto lavorando perché chi ha contratto il virus Hiv possa combatterlo con un’efficacia sempre maggiore, fino a debellarlo completamente. Il vaccino terapeutico è destinato proprio a questi pazienti. Ma perché risulti efficace il loro sistema immunitario dev’essere in buono stato. E per ottenere questo risultato l’utilizzazione di sostanze immunostimolanti, come la papaya fermentata, è utile o addirittura indispensabile. L’attribuzione del Nobel, che mi onora, mi aiuterà a proseguire i miei studi, anche sull’invecchiamento. Penso che queste sostanze siano in grado, se prese insieme alle terapie tradizionali, di migliorare la salute in tutti coloro che hanno un’insufficienza immunitaria, compresi i malati di Parkinson e di altre patologie degenerative. A questo fine, sei anni fa, ho voluto portare un prodotto a base di papaya fermentata anche a Giovanni Paolo II, quando era colpito gravemente dal Parkinson.
È una vicenda che mi piace ricordare. Avevo ricevuto, a sorpresa, una telefonata dell’ambasciatore del Vaticano all’Unesco: “Il Santo Padre desidera incontrarla”. Era da lunghissimo tempo che non avevo più contatti con il Vaticano: da quando, nel ’95, avevo detto a un’affollata platea di personalità politiche e di giovani militanti cattolici che uno dei modi per combattere l’Aids era il preservativo. Da allora, il silenzio. Fino a quella telefonata, sette anni dopo: “Il Papa desidera vederla, per parlare di prevenzione dell’Aids in Africa”. Una pausa, di fronte alla mia sorpresa. Ho poi saputo che il Santo padre aveva invitato anche Robert Gallo, lo studioso americano che, allora come adesso, i giornali amavano dipingere come il mio rivale. Ma Gallo non si è presentato quel 10 giugno, alle 11 (data dell’incontro), perché pochi giorni prima aveva dovuto subire un intervento a una gamba. Così il capo del cerimoniale ha accompagnato solo me e Pierluigi Vagliani, segretario generale della Fondazione mondiale prevenzione e ricerca Aids, attraverso saloni con affreschi mozzafiato, fino a una piccola sala d’attesa, con le statue dei quattro evangelisti. Era collegata direttamente allo studio del Papa. Lui si trovava a pochi metri da me: di là da una porta di legno scuro.
La porta si apre. Mi invitano a entrare. Lo studio del Pontefice è ampio, con finestre altissime ma coperte da tende pesanti, che lasciano filtrare poca luce. Giovanni Paolo II siede su una poltrona, dietro a un tavolino. Si gira lentamente, ci guarda, fa un minimo cenno. Comincio a parlare. Racconto subito al Papa quello che la Fondazione sta facendo in Africa, grazie anche al supporto di organizzazioni cattoliche come la San Camillo. Il Pontefice ascolta interessato. Ha l’aria stanca, colpa del Parkinson, eppure chiede dettagli, in francese. Restiamo insieme 25 minuti. Guardo i suoi occhi e le parole che escono piano dalla sua bocca, e a volte si fermano. Gli chiedo un aiuto per potenziare le campagne antiAids e lui promette il suo impegno.
Ma il tempo si esaurisce in fretta, e presto arriva l’ora dei saluti e dello scambio dei regali. Giovanni Paolo II i dona una medaglia. Io, invece, gli porgo un sacchetto di carta azzurra, con due scatole che contengono un estratto di papaya fermentata e un altro a base di glutatione, entrambi antiossidanti. «Santo Padre», gli dico, «lei è un bene prezioso per l’umanità. Le ho portato due prodotti che possono aiutarla a stare meglio». Mi guarda, incuriosito: “Ma lei li prende?”. “Sì, certo”. “Allora li prenderò anch’io”. Gli lascio una lettera per i medici che lo curano. Sorride, ha un moto impercettibile della mano. La sua testa rimane inclinata, mentre mi allontano».
Luc Montagnier (testo raccolto da Paolo Rossi Castelli nel novembre 2008 per OK La salute prima di tutto)