«È il mio timbro, sembro una papera», racconta Ilaria D’Amico. «La colpa è di una deviazione congenita del setto nasale e dell’ipertrofia dei turbinati. La chirurgia, purtroppo, è servita a poco».
Ecco la confessione della conduttrice televisiva a OK.
«Me la porto addosso, come un segno di riconoscimento. È la mia voce, così nasale che non si può non notarla. Quante volte riascoltando le registrazioni dei programmi mi sono detta: “Mio dio, sembro una papera”. Non c’entrano dizione o intonazione. C’entra com’è fatto il mio naso.
“Lasciate stare l’Ilaria che se prende freddo poi le viene la febbre”, diceva mia madre quando ero piccina. A furia di raffreddori e tonsilliti diventai la pulcina di casa. E in famiglia mi ripetevano: “Ma come sei caciottevole di salute”, storpiando l’aggettivo cagionevole.
Il motivo? Una deviazione interna e congenita del setto nasale, che non mi lasciava respirare bene e predisponeva alle malattie delle vie aeree. Da bambina, febbroni su febbroni. Da adolescente avevo il raffreddore 11 mesi l’anno, sempre dietro con quegli spray vasocostrittori che, mi spiegarono in seguito, non fecero altro che aggravare il problema.
Mi svegliavo con un cerchio alla testa, un perenne senso di pesantezza e le borse sotto gli occhi. Si aggiungevano le allergie: alle graminacee e alla polvere. I weekend via con gli amici? Un incubo. Se la casa dove alloggiavano non era pulita, c’era in agguato la crisi di asma. La notte, se avevo un principio di raffreddore, l’apnea notturna era la mia maledizione. Con la bocca aperta e con quel respiro pesante che si addicono più a un nonno che a una ventenne, svegliavo le amiche che dormivano con me per colpa di quei sussulti.
1998: iniziò l’avventura in tv. La prima diretta la feci col fazzoletto dietro la poltrona, perché appena non ero inquadrata dovevo asciugarmi la goccia che scendeva dal naso. E quando andavo in onda facevo gli scongiuri che non mi venisse da starnutire.
Fu allora che mi decisi: otorinolaringoiatra, a noi. Per il medico che mi visitò tutto era chiaro. “Signorina, i suoi turbinati sono da buttare“. Turbinati? “Sono quelle piccole lamine ossee che si trovano nelle fosse nasali”, mi spiegò. “Le allergie e le infezioni ripetute hanno causato uno stato di infiammazione cronica che ha fatto gonfiare il volume della mucosa che li ricopre“.
Soluzione per respirare bene di giorno e smettere di russare la notte? La chirurgia. Era il mio primo intervento. Il dottore chiarì che la turbinectomia parziale, l’eliminazione di un pezzo dei turbinati, era un’operazione di routine, un po’ come togliere le tonsille.
Anestesia totale e un paio di giorni con i tamponi nel naso. Dopo una settimana mi sembrava di respirare come mai nella vita. Gridai di gioia, e anche la voce pareva cambiata. Ma fu solo un’impressione. Dopo nove mesi, i turbinati ripresero a gonfiarsi. E io a soffrire, sempre più depressa. Scoprii più tardi che può succedere, ma al momento fu dura da mandar giù. Ancora il fazzoletto in tasca, eh no!
Poi, il lavoro sempre più impegnativo mi fece rimandare. Fino a quando, nel 2001, arrivai al limite. In trasmissione mi mancava il fiato, convivevo con la cefalea, mi veniva il mal di orecchie ogni volta che salivo su un aereo. Ricominciai il giro degli specialisti, ma tutti mi volevano operare di nuovo.
Niente più interventi, mi curo con i farmaci
Finalmente ne trovai uno che non aveva alcuna intenzione di rimettermi sotto i ferri: “Quello che le serve è una bella cura che faccia regredire l’infiammazione”. Gli diedi fiducia. Prima, un’iniezione di cortisone, potentissima, poi, per tre settimane, antinfiammatori e antistaminici combinati.
Piano piano mi sembrò di rinascere. Di nuovo la cura dopo nove mesi e, seguendo le indicazioni del medico, ancora a intervalli prestabiliti. Il respiro affannoso 24 ore su 24? Oggi è sparito. Le notti a rigirarmi per non cadere in apnea nel letto? Dimenticate. È rimasta solo la voce nasale, ma quella ormai fa parte di me. Certo, devo essere costante nel seguire la cura, ed evitare gli strapazzi, altrimenti rischio di infiammare ancora i turbinati. Ma almeno ho smesso di meritarmi l’appellativo di caciottevole…».
Ilaria D’Amico (testo raccolto da Francesca Gambarini nell’ottobre 2009 per OK La salute prima di tuttp)
IL MEDICO: TURBINOTOMIA IN ANESTESIA LOCALE
«I turbinati sono tre coppie di pieghe nella mucosa delle fosse nasali, dotati di impalcatura ossea e molto vascolarizzati», spiega Bruno Morra, direttore della divisione di otorinolaringoiatria dell’Azienda ospedaliera San Giovanni Battista di Torino. «Il loro compito è climatizzare l’aria che si respira, riscaldandola e umidificandola».
• Perché si infiammano i turbinati. Fumo, smog, allergie, abuso di farmaci vasocostrittori, deviazioni del setto e infezioni virali possono alterare la regolazione delle dimensioni dei turbinati: la mucosa si gonfia e si ipertrofizza, causando infiammazione cronica.
• Sintomi: sensazione di naso chiuso, voce nasale, starnuti e pruriti, rinorrea acquosa, sinusiti, roncopatia (russamento) e a volte sindrome delle apnee notturne.
• La terapia. I vasocostrittori, pur efficaci, hanno un’azione limitata nel tempo. Si crea così dipendenza, che può degenerare in una rinite cronica. Meglio i cortisonici nasali, che hanno un ridotto assorbimento al di fuori della mucosa e minori effetti collaterali.
• L’operazione. «Se con i farmaci non ci sono miglioramenti, si può intervenire con la chirurgia», continua Morra. «Oggi l’operazione è molto meno invasiva di quella (la turbinectomia) descritta da Ilaria D’ Amico. La tecnica che viene più utilizzata è la turbinotomia funzionale: il chirurgo, in anestesia locale, interviene soprattutto sullo strato vascolare (i vasi sanguigni), riducendone il volume, e il meno possibile sulla mucosa e sul tessuto osseo. Con questa tecnica l’ipertrofia si ripresenta in meno del 10% dei casi».