«Ho scoperto di soffrire di vertigini all’età di 16 anni», racconta Gerry Scotti. «E non ho paura solo del vuoto ma anche del volo…».
Ecco la confessione del conduttore televisivo a OK.
«Non sono certo un tipo che si fa problemi per niente, uno di quelli che pensano di avere malattie bizzarre e vedono fantomatici sintomi ovunque. Per esempio, vivo in armonia con il mio quintale abbondante e con il mio appetito insaziabile.
Non sono, insomma, un malato immaginario: di vertigini soffro per davvero, praticamente da sempre. Sarà che sono un ragazzo di campagna, che sono nato dove c’era solo il piano terra e dove una casa di quattro piani era già una specie di grattacielo… Fatto sta che alle grandi altezze non sono mai stato abituato, il massimo che potevo osare era arrampicarmi su un ramo o su una roccia al torrente, e senza troppo entusiasmo.
A 16 anni, il panico
Questo fino a 16 anni, perché poi è capitato il fattaccio. Mi ero trasferito a Milano, dove, guarda caso, vivevo al primo piano, e una sera mi trovai ospite in cima a un grattacielo (e dico grattacielo perché di piani ne aveva 16, un’altezza che per me era addirittura sbalorditiva).
Bene, a un certo punto, durante la serata, il padrone di casa ha la brillante idea di scavalcare la balaustra del terrazzo e di cominciare il giochetto del senza mani in bilico sul cornicione.
Da quel momento la mia vita è cambiata. Mentre attorno a me tutti gridavano, chi in preda al panico chi all’eccitazione, io ero letteralmente paralizzato: non riuscivo a parlare, non muovevo un muscolo ed ero attanagliato da una paura che solo a pensarci mi sudano le mani oggi come allora.
In quegli in terminabili istanti, la mia poca confidenza con le altezze divenne una patologia, che a distanza di anni, seppure in forma minore, mi porto ancora dietro.
Altri due episodi mi hanno segnato. Il primo in Sardegna, quando ebbi la pessima idea di salire in cima al faro di Capo Testa. Avevo 25 anni o giù di lì e gli amici ci misero tre ore d’orologio per convincermi a scendere. Feci ogni singolo gradino col sedere, in preda a dolori di stomaco e giramenti di testa.
L’altro accadde sulla Tour Eiffel. Ammetto che non fu una grande trovata visti i precedenti, ma ero in viaggio di nozze e non potevo esimermi. Arrivati al cambio di ascensore, dove la torre si restringe, fui colto da panico e afferrai un corrimano con tale forza che mia moglie credette di dover chiamare la polizia per farmi mollare la presa. Le forze dell’ordine non furono necessarie, ma anche lì ci volle il suo tempo prima di essere ricondotto alla ragione.
Riesco ad aver paura anche per conto terzi
Ho notato che soffro anche di vertigini riflesse, almeno io le chiamo così. Sono quelle che mi prendono quando vedo qualcuno cui voglio bene in una posizione che darebbe problemi a me. A cavalcioni su un muretto o affacciato al balcone.
La persona con cui mi succede più spesso è mio figlio, per questo credo siano una cartina di tornasole per i rapporti personali: più affetto, più vertigini.
Peraltro, proprio mio figlio, è stato importantissimo per combattere la mia paura.
Quando lui era più piccolo, è stato inevitabile trovarmi in situazioni a rischio, quando giocava con gli amici all’aperto oppure sulle piste di sci, anzi di snowboard che è pure peggio. Il voler passare più tempo possibile con lui mi ha dato la forza per superare il blocco in moltissimi casi. Oggi posso addirittura prendere la funivia, cosa che anni fa sarebbe stata impensabile!
Mio figlio mi ha aiutato ad avere meno fifa
È curioso poi che mio figlio sia stato lo stimolo a vincere anche la mia paura di volare, un altro mio grande terrore legato alle altezze. All’inizio della mia carriera in radio e i primi tempi in tv, giravo l’Italia in macchina: da Milano a Bari, da Bari a Roma e poi di nuovo a Milano, serata dopo serata. Un’epopea tragicomica fatta di notti passate sul sedile, di barba lunga e di occhiaie.
Quando nacque Edoardo mi resi conto che il tempo sprecato in strada era tempo che non passavo insieme a lui. Così decisi di dare una svolta. A poco a poco sono diventato un esperto di aeronautica: adesso sono in grado di dire, in base ai rumori del motore e dei flap, che manovra stia compiendo il pilota. Non male, no?
Oggi volo tra Milano e Roma quattro volte la settimana su jet privati e sono sicuro di correre molti meno rischi che non in auto. Come passeggero, certo, sono un rompiballe: passo tutto il viaggio a chiedere al pilota che cosa fa, se ha ricordato questo e quello. Anzi, più di una volta ho fatto eseguire al capitano alcuni controlli che a mio avviso non erano stati fatti con la dovuta perizia.
Insomma, la consapevolezza che gli aerei stiano in aria in base alle leggi fisiche, e non per un miracolo, ha sconfitto una fobia che rischiava di mandare gambe all’aria la carriera e complicare la vita familiare. Magari durante le turbolenze o in fase di decollo capita che lo stomaco borbotti, ma credo sia inevitabile.
Dopo tutto, se fossimo stati creati per volare avremmo avuto le ali. In ogni caso supero la paura con il raziocinio: faccio una sorta di check mentale e mi accorgo che le spie verdi dell’aereo sono molte di più delle spie rosse della mia psiche».
Gerry Scotti (testo raccolto da Massimo Valz Gris nel febbraio 2006 per OK La salute prima di tutto)
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