«Galoppavo a pelo nella campagna vicino a Roma», racconta Gabriel Garko. «Mi sono distratto, è stato un attimo e mi sono trovato a terra. Un male alla schiena lancinante, non sentivo più le gambe, non riuscivo più a muovermi. Silenzio dalla nuca in giù. In ambulanza mi disperavo: resterò paralizzato».
Ecco la confessione dell’attore a OK.
«Era un cavallo arabo. Femmina. Dal pelo marrone. Giovane, di sei anni. Occhio cattivo. Cavalcavo a pelo, nella campagna di Zagarolo, nei pressi di Roma. Era il 2005 e mi stavo preparando per il set di D’Artagnan, un film per la televisione che avrei dovuto girare in Francia.
Volevo allenarmi, imparare ad andare tranquillo senza sella, perché sapevo che mi sarebbe stato utile per vestire i panni di un moschettiere senza macchia e senza paura. E poi volevo starmene lontano da tutti, senza tanti pensieri. A galoppare tra gli alberi, come ho sempre fatto.
Invece dei jeans ho indossato i pantaloni da equitazione, che sono perfetti per la sella ma solo per quella. E dopo pochi metri il manto della cavalla ha iniziato a sudare, diventando sempre più scivoloso. Mi sono distratto, è stato un attimo. Lei ha scartato, anche se di poco, per evitare una buca, io sono caduto. Male, schiantandomi a terra con la schiena verso il basso.
Al momento non ho nemmeno sentito dolore. Mi sono riavvicinato e ho cercato di risalire in groppa. Non ce la facevo, mi tremavano le gambe, la testa girava. Seduto su un sasso, ho fumato una sigaretta, per rilassarmi. Il dolore alla schiena aumentava, la sensazione di paura anche. Allora ho chiamato un’ambulanza col cellulare. Quando mi hanno portato via, le fitte erano lancinanti. Non sentivo più le gambe, non riuscivo a muovermi. Silenzio dal collo in giù.
Finirò come l’attore di Superman, pensavo
È finita, pensavo sdraiato sulla barella, paralisi, finirò come l’attore di Superman, il povero Christopher Reeve, morto dopo dieci anni di immobilità assoluta per una caduta da cavallo. Piangevo, soffrivo. Non reciterò mai più, non camminerò mai più, non correrò mai più, non amerò mai più…
Al pronto soccorso di Zagarolo mi hanno visitato, il verdetto frettoloso sembrava rassicurante: solo una costola incrinata. A riposo e passa tutto.
Ma le ore trascorrevano e il dolore rimaneva lì, fisso. Non mi sono fidato e mi sono fatto trasferire in un ospedale di Roma per fare esami più approfonditi.
Dalle prime risonanze la brutta notizia: le vertebre D3 e D4, le prime dorsali, quelle vicine al collo, erano rotte. Ero disperato, mi davano la morfina tutti i giorni per non sentire male. Quando l’effetto cessava, ricominciava il tormento. Così per una settimana e mezzo, senza sapere che succedesse, con pensieri tremendi in testa, con la noia e la depressione dietro l’angolo.
Ovviamente le riprese di D’Artagnan erano saltate. Il produttore aveva preso un altro al posto mio, ma non volevo nemmeno sentirne parlare. Mi veniva voglia di mandare al diavolo tutto e tutti. Non sapevo neppure se e quando avrei potuto riprendere la mia vita.
Due mesi ricoverato in clinica
Dopo dieci giorni immobile sul letto i medici mi hanno detto che avrei potuto cominciare la riabilitazione. Il midollo spinale non aveva subito danni, per fortuna, e nemmeno i fasci nervosi che escono dalla colonna vertebrale. Dovevo soltanto ricominciare a muovermi, piano.
L’ho fatto, con pazienza: esercizi continui e fitte di dolore dritte nel cervello. Ci sono voluti due mesi di ospedale. “Sei stato fortunato, potevi rimanerci”, continuavano a dirmi tutti. Sapevo che medici e amici avevano ragione.
Sono uscito dalla clinica sulle mie gambe. Oggi, a distanza di anni, ogni tanto ho ancora problemi. Mi è capitato di recente sul set: bloccato dal male, hanno dovuto farmi delle infiltrazioni di cortisone alla schiena. Faccio sempre i miei esercizi per potenziare i muscoli del collo. A cavallo? Ancora non sono riuscito a tornare in sella. Non è detto che un giorno non ci riprovi.
Un’altra cosa è cambiata. Prima non volevo gli stuntmen, gli acrobati che girano le scene pericolose al posto degli attori. Mi divertivo a rischiare io… Ancora oggi resisto. Ma con qualche paura in più».
Gabriel Garko (testo raccolto da Marta Serafini nel gennaio 2009 per OK La salute prima di tutto)
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