Non lo spaventano gli avversari in campo, ma una cosa al capitano della Roma, Francesco Totti, fa venire letteralmente i brividi: il sangue. Il Pupone, infatti, soffre di emofobia.
Ecco la confessione del calciatore a OK.
«Qualcuno si sarà chiesto perché, per l’operazione del 20 aprile 2008, ho scelto anche di farmi sedare, di stordirmi in pratica. Non mi bastava l’anestesia locale. Sì, confesso la mia debolezza: la vista del sangue mi impressiona, mi turba, mi si rigirano le budella. Mi basta vedere un taglietto e… brrrr, spavento, una sensazione stranissima. Figuratevi un intervento.
Basta una sbucciatura di mio figlio
Svenire no, ma mi si crea dentro un senso di ansia, di paura e non riesco a guardare. Anche se si tratta di una ferita piccola distolgo gli occhi. Non solo il mio sangue, tra l’altro. Mi è capitato di impressionarmi davanti a una sbucciatura del ginocchio di mio figlio Cristian, per non parlare dei due parti di Ilary.
Sono meno virile per questo? Non credo proprio. Penso che chiunque abbia un lato debole e che vergognarsene sarebbe sciocco. Siamo tutti esseri umani…
Non so perché mi sia venuta questa fobia. Credo che sia cominciata dopo l’adolescenza. Ricordo chiaramente che da bambino non avevo paura. E, che io sappia, alle altre persone della famiglia non crea particolare fastidio la vista del sangue.
Come va in campo se qualcuno si fa male? Dal vivo non ho assistito a infortuni particolarmente drammatici. Ho visto delle immagini televisive che facevano realmente impressione, come l’infortunio di Ronaldo o quello di Eduardo dell’Arsenal.
In questi casi però più che altro mi dispiace per loro e penso ai sacrifici che dovranno fare per giocare di nuovo. Lo so bene, qualche guaio mi è capitato… Il 19 aprile del 2008 mi sono fatto male seriamente.
Lesione parcellare del legamento crociato del ginocchio destro. Lì non ho pensato al sangue, ma subito a quanto tempo ci sarebbe voluto per tornare in campo. Come per l’altro infortunio, guarda caso sempre di 19, il 19 febbraio del 2006. Allora, a 30 anni, poteva essere la mia ultima occasione per vincere la Coppa del mondo.
Il pomeriggio del 20 aprile del 2008 sono arrivato a Villa Stuart insieme con il mio preparatore atletico, Vito Scala. Poi sotto i ferri. Ma le aspettative sono buone, muovevo la gamba subito dopo l’intervento. E poi la riabilitazione. C’ero già passato. Nel 2006, appena ho potuto, fisioterapia e piscina riabilitativa.
In quella fase ho iniziato a capire che ce l’avrei fatta. Giorno dopo giorno mi sentivo sempre meglio, cresceva la consapevolezza che il periodo buio poteva essere lasciato alle spalle presto. E infatti dopo tre mesi circa ero di nuovo in campo. Guarito. In certi casi quello che più conta è la forza di volontà, senza non ce l’avrei mai fatta.
Guarire? Questione di volontà
Ma io credo che valga per ogni malattia. Mai abbattersi, perché il lato psicologico è fondamentale. La prima cosa è avere la consapevolezza che ogni infortunio, per grave che possa essere, si può superare. Io, poi, per carattere tendo a sdrammatizzare.
A proposito, fatemi pensare un attimo se c’è qualche battuta sulla mia paura del sangue… No, non mi sembra. Comunque le barzellette mi piacciono ma non le ricordo mai.
Mi ricordo delle decisioni che prendo, quello sì. Come il ritiro dalla Nazionale. Volevo dare il 100% alla Roma. Arrivato alla mia età, per garantire prestazioni ottimali alla mia squadra, ho dovuto rinunciare alla maglia azzurra, perché costituiva un impegno troppo gravoso per la mia preparazione fisica.
Che farò quando smetterò di giocare del tutto? Vedremo. Per il momento voglio continuare a dare il mio contributo per il bene della Roma. Però in futuro penso più a un ruolo dirigenziale che non alla panchina da allenatore. Il rapporto con la società è solido, devo tanto alla famiglia Sensi e penso che potremo parlarne senza problemi a fine carriera».
Francesco Totti (testo raccolto da Roberta Marcuccilli per OK La salute prima di tutto di maggio 2008)
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