Prima dell'Inno alla Gioia di Beethoven, molto prima della Giornata mondiale delle felicità voluta dall'Onu il 20 marzo per ribadire il diritto di ognuno alla contentezza. Il copyright della “gioia” appartiene a un uomo rivoluzionario, Giovanni di Bernardone, che nel 1200 si spogliò di ogni ricchezza per diventare Francesco. Fu lui, secondo Aldo Nove, a inventare e a dare pieno significato a quella parola luminosa. In “Tutta la luce del mondo” (Bompiani), l’ex scrittore “cannibile” rilegge la storia di San Francesco (e di Santa Chiara e del Cantico delle creature) tenendo come stella polare proprio la felicità incarnata, come mai prima, dal “folle di Dio”.
A raccontare quella vita miracolosa è Piccardo, il nipote del “poverello”; un bambino come tanti, che fa il verso alle processioni e sogna di incontrare un unicorno, ma che in quello scorcio di Medioevo intuisce di vivere un tempo speciale e di portare un cognome che cambierà la Storia.
Quello zio-santo, radicale e libero, ha la forza di un magnete che lo attira a sé, fin dentro la grotta buia dove Francesco visse gli ultimi anni, da eremita. Piccardo scappa da Assisi e dalla famiglia (che non comprese la ribellione cominciata dentro casa), e finalmente lo incontra, "piccolo, scuro e malato", ma gioioso, felice anche del dolore e della convivenza con i "fratelli topi" che infestano il suo rifugio.
Aldo Nove ci porta nel cuore del misticismo dando anche un nuovo volto al Medioevo, meno oscuro e più seducente di quello che ci immaginiamo. Soprattutto perché – scrive Nove – "c'erano i miracoli. Esattamente come ora c'è Google. Se tu parlavi a un lupo, ti capiva. Ma lo dovevi fare con amore. Con quell'amore che c'è ovunque e scioglie la luce in ogni cosa, incominciando il senso di una storia. Storia dopo storia. Difficile spiegarlo dopo secoli".
Raffaella Caprinali