Ho iniziato a tirare pugni a dieci anni. Ero un bambino vivacissimo e prima di incrociare sulla mia strada la boxe avrò fatto quattro o cinque sport diversi: ciclismo, calcio, pallavolo e via così. Ero pure grassottello, però tutta quell’attività fisica non mi faceva dimagrire.
Gli amichetti stazionavano già davanti al bar e ai circoli del mio paese, Marcianise, vicino a Caserta. Io mi annoiavo senza far nulla e così mi buttavo a seguire una palla o montavo in sella a una bici.
Alla boxe ci sono arrivato per caso. Un amico di mio padre conosceva la palestra Excelsior, che a quel tempo si poteva frequentare gratis, e coi racconti di quel posto mi aveva incuriosito. In autonomia, senza che nessuno mi forzasse, ho deciso di provare. Con il sacco è stato amore a prima vista. Tutti i giorni alle quattro del pomeriggio mi infilavo i guantoni e dimenticavo cosa c’era fuori. Si stava bene sul ring. Il mio maestro, Domenico Brillantino, è diventato subito come un secondo genitore e gli altri pugili come amici di sangue, fratelli.
Il pugilato mi ha regalato autostima
Si respirava un clima caldo, rassicurante. Era ciò di cui avevo bisogno: al paese, in quei primi anni Novanta, la tensione era alta. La sera c’era il coprifuoco: la camorra imperversava. Ma il mio mondo, la boxe, era un’oasi protetta dall’odio e dalle ingiustizie. E mi ha tenuto alla larga dalla criminalità organizzata.
Strano, vero? Lo sport considerato violento per antonomasia mi ha salvato dalla violenza, quella vera, quella per cui si muore per strada, a qualsiasi età, non importa se da colpevole o da innocente.
In più, accadeva il miracolo: perdevo peso e facevo muscoli. Così le ragazzine della classe cominciarono a guardare anche me. Il pugilato mi stava regalando autostima, sicurezza nelle mie capacità, amor proprio.
Mi sono imposto regole rigide
Quando avrò un figlio lo manderò sul ring, se vorrà, oppure su un campo da calcio, da tennis, o da basket. Insomma, lo spingerò a fare sport, per non vederlo seduto davanti alla tv o ai videogiochi o, peggio, in mezzo a brutte compagnie. Ecco perché, appena posso, faccio un salto al centro sportivo di judo che ha aperto mio cognato Pino Maddaloni a Scampia: lì i ragazzi napoletani si allenano e si divertono, imparano lo spirito di squadra, le regole del gioco. E, soprattutto, stanno lontano dalla delinquenza.
Fino alla maggiore età ho combattuto alla Excelsior, poi mi sono trasferito a Roma, per entrare nelle Fiamme oro, il gruppo sportivo della Polizia di Stato.
I primi, piccoli successi sono arrivati presto. A 14 anni già vincevo e avevo in tasca quella che allora chiamavo con orgoglio la centomila lire: soldini guadagnati con sudore, costanza, fatica.
Se intorno a me c’erano invidie? Eccome. Gli amici, anche quelli più cari, a volte facevano i gradassi e mi sfidavano: «Dai, Clemente, facci vedere se sai combattere davvero». Allora alzavo il sinistro e la cosa finiva lì. Al contrario, capitava anche che mi chiamassero a difenderli, quando scoppiava una rissa. Per loro mi buttavo nella mischia, ma la vita delle compagnie di strada non l’ho mai sentita mia.
Sono cresciuto imponendomi regole rigide: a letto tutte le sere presto, pranzi e cene controllate, niente alcol, niente discoteche. Ogni mattina mi alzavo alle sei e mezza e andavo a correre, perché dovevo mantenere stabile il peso. Tutti sacrifici e rinunce che hanno contribuito a forgiare il mio carattere, quello di un bisonte, un Tatanka, com’è il mio soprannome. Certo, anch’io ho i miei limiti: sono egocentrico e forse troppo sicuro di me, due difetti su cui la boxe mi aiuta ogni giorno a riflettere.
Sbaglia chi crede che sul ring si debba pensare solo a buttar giù l’avversario
Il pugilato non è uno sport per duri, ma una disciplina che richiede intelligenza e astuzia. Ero solo un bambino quando mi ha insegnato che nessuno ti regala nulla e sul quadrato devi fare affidamento solo su te stesso.
Cos’è per me la boxe? Una danza armonica e complessa, dove devi mirare con attenzione senza diventare a tua volta un bersaglio. Da questo equilibrio nasce la vittoria. Come nella vita.
Clemente Russo (confessione raccolta da Francesca Gambarini per OK La salute prima di tutto di maggio 2011)