«Sentii mio padre che urlava forte», racconta Bill Clinton. «Era ubriaco. Quando mi avvicinai, lo vidi prendere il fucile e far fuoco verso la mamma. Il proiettile si conficcò nel muro. Giorni dopo mi disse che non poteva vivere senza di noi, ma non ammise mai la causa del suo dramma. E ricominciò a bere…».
Ecco la confessione dell’ex presidente degli Stati Uniti e, a seguire, i consigli di uno psichiatra esperto in tossicodipendenze su come aiutare un genitore alcolista.
«Roger Clinton mi voleva veramente bene, come ne voleva a mia madre; ma purtroppo non è mai riuscito a liberarsi dall’insicurezza, dalle false certezze fornite dall’alcol e dalla passione adolescenziale per le feste con gli amici, dall’abitudine di lasciare sola e insultare la moglie, tutte cose che forse gli impedirono di diventare l’uomo che sarebbe potuto essere.
Quella notte arrivò la polizia
Una notte il suo alcolismo autodistruttivo sfociò in una lite con mia madre che non potrò mai dimenticare. Lei voleva che andassimo all’ospedale a trovare la bisnonna, alla quale non restava molto da vivere. Mio padre glielo impedì. Stavano urlando in camera da letto, sul retro della casa.
Mi diressi verso la porta della loro stanza. Mentre mi avvicinavo, mio padre prese un fucile e fece fuoco in direzione della mamma. Il proiettile si conficcò nel muro, fra lei e il posto dove mi trovavo io. Ero scioccato e impaurito. Non avevo mai sentito e tanto meno visto sparare. Mia madre mi afferrò e attraversò di corsa la strada, fino alla casa dei vicini. Chiamarono la polizia, e ancor oggi ho davanti agli occhi la scena di mio padre ammanettato che viene portato in prigione, dove passò la notte.
Sono sicuro che non volesse farle del male e che sarebbe morto se il proiettile avesse accidentalmente colpito uno di noi. Ma c’era qualcosa di ancor più insidioso dell’alcol che lo faceva precipitare a quei livelli di abbrutimento. Quando papà uscì di prigione, la sbornia gli era passata, ed era così imbarazzato che per un po’ non accaddero altri episodi spiacevoli.
Io afferrai una mazza da golf
Una sera papà chiuse la porta della camera da letto, si mise a urlare contro mia madre e cominciò a picchiarla. Il piccolo Roger, mio fratello (si chiama come il mio patrigno), era spaventato, proprio come me nove anni prima, la sera della sparatoria.
Alla fine, non riuscendo più a tollerare che papà facesse del male alla mamma, impugnai una mazza da golf e spalancai la porta. La mamma era stesa sul pavimento e papà era in piedi e la stava picchiando. Gli dissi di smettere e che, se non lo avesse fatto, lo avrei ammazzato di botte. Si accasciò su una sedia vicino al letto, con la testa ciondolante. Mi dava la nausea.
Nel suo libro mia madre racconta che quella notte chiamò la polizia e lo fece arrestare. Io non ricordo, so solo che per un po’ non ci furono altri guai. Credo di essermi sentito orgoglioso di aver difeso mia madre, ma anche un po’ triste. Proprio non riuscivo ad accettare il fatto che una persona fondamentalmente buona cercasse di placare il proprio dolore facendo del male al prossimo.
Vorrei aver avuto qualcuno con cui parlare, ma non c’era, e così dovetti cavarmela da solo.
Non si radeva da tre giorni
Un giorno mio padre mi chiese di andare a fare un giro in auto con lui. Mi portò fin dietro la nostra vecchia casa in Circle drive e si fermò in fondo al vialetto d’accesso posteriore.
Era uno straccio. Non si radeva da tre o quattro giorni, ma non credo che avesse bevuto. Mi disse che non poteva vivere senza di noi, che non aveva altri motivi per vivere. Piangeva.
Mi implorò di parlare alla mamma e di supplicarla di riprenderlo con sé. Disse che si sarebbe messo in riga e che non l’avrebbe mai più picchiata e non le avrebbe mai più urlato contro. Mentre lo diceva, ci credeva davvero, ma io no. Non capì, e non volle mai riconoscere la causa del suo problema. Non ammise mai di essere schiavo dell’alcol e di non riuscire a smettere di bere da solo.
La inseguì con le forbici
Ci fu però un ultimo, terribile incidente con papà. Un giorno rientrò dal lavoro prima del solito, ubriaco e fuori di sé. Io ero dagli Yeldell, ma Roger per fortuna era a casa. Papà inseguì la mamma con un paio di forbici; prima in cucina e poi nella lavanderia. Roger uscì di corsa dalla porta d’ingresso e arrivò dagli Yeldell urlando: “Bubba, aiuto! Papà sta ammazzando Papo!”. (Mio fratello imparò la parola papà prima di mamma; perciò inventò il termine Papo per riferirsi a lei e continuò a usarlo anche parecchio tempo dopo).
Mi precipitai a casa, tirai via mio padre da mia madre e gli strappai le forbici di mano. Portai mia madre e Roger in salotto, quindi feci una scenata a mio padre. Quando lo guardai dritto negli occhi vidi più paura che rabbia. Poco tempo prima gli era stato diagnosticato un tumore alla bocca e alla gola…».
Bill Clinton
Testo tratto da My Life. Copyright © 2004 by William Jefferson Clinton. Translation published by arrangement with A.A. Knopf, division of Random House, Inc. © 2004 Arnoldo Mondadori editore spa, Milano.
COME AIUTARE
UN GENITORE ALCOLISTA
Aiutare un genitore alcolista non è impossibile. Ecco cosa dovrebbero fare i familiari: i consigli di Luigi Gallimberti (puoi chiedergli un consulto), professore di psichiatria delle tossicodipendenze all’Università di Padova.
Convincerlo a curarsi. Da solo l’alcolista non è in grado di uscire dal tunnel. I familiari devono convincerlo a cercare aiuto. L’Osservatorio fumo, alcol e droga fornisce informazioni su strutture per la terapia. Un medico esperto potrà elaborare una terapia diretta a curare i danni che la dipendenza ha creato, a base di farmaci (quelli per la prima fase di astinenza di pochi giorni e quelli per il mantenimento) e psicoterapia individuale o di gruppo.
Parlargli alla mattina. Ogni discorso va fatto preferibilmente al mattino. Alla sera, o peggio ancora di notte, si rischia una reazione spropositata, dovuta anche all’alcol assunto durante la giornata.
Le frasi da non dire. «Smetti di bere, altrimenti noi ti piantiamo!». La minaccia non serve e nella peggiore delle ipotesi può scatenare la sua violenza.