«Tutto il mio lavoro di ricerca nasce in primo luogo dal mio rapporto con i pazienti. È nell’incontro quotidiano con i pazienti che nascono le domande che non sono state soddisfatte a cui cerco di rispondere con le mie ricerche». A parlare è Alice Laroni, vincitrice 2016 del Premio Rita Levi-Montalcini, assegnato dal 1999 dalla Fondazione di AISM per riconoscere l’impegno e il valore dei giovani ricercatori nella ricerca scientifica sulla sclerosi multipla.
Co-autrice di 21 pubblicazioni sulla sclerosi multipla, Alice Laroni ha ricevuto il prestigioso riconoscimento per i risultati ottenuti in due importanti ambiti della ricerca su questa malattia cronica.
Perché hai scelto di occuparti di sclerosi multipla?
Ho scelto la neurologia perché mi appassionava tutto quello che non si sa del funzionamento del nostro cervello. Il passaggio alla sclerosi multipla è arrivato con la tesi di laurea. Da allora mi sono innamorata di questi pazienti, mi sono appassionata alla cura e alla ricerca su questa malattia.
Nel ricevere il premio hai sottolineato che non sei solo una ricercatrice, ma un medico. Perché?
Io sono una neurologa e mi occupo principalmente di sclerosi multipla, che è una malattia cronica che accompagna la persona lungo tutte le tappe della sua vita. Il mio rapporto con i pazienti è di accompagnamento. Come medico seguo il paziente nelle fasi della vita, cerco di trovare la terapia giusta in quel momento, sono contenta con lui per i suoi successi, sono preoccupata e triste quando le cose non vanno bene. Molti hanno la mia stessa età e siamo cresciuti insieme.
Ti occupi di una malattia complicata. Possiamo dare un messaggio di speranza?
È una malattia frequente, perché nel nostro Paese colpisce una persona ogni mille. Ci sono molti elementi di speranza. Non abbiamo ancora la cura, perché non conoscendo la causa, non riusciamo a intervenire sul meccanismo che scatena la patologia. Ma abbiamo moltissime terapie che riescono a modificarne il decorso, diminuendo il rischio di ricadute e di progressione della disabilità. Quello che manca in questo momento sono terapie che riescano ad agire sulla degenerazione neuronale. C’è però molta ricerca su questo e Aism sta finanziando molti progetti.
Qual è la ricerca che hai fatto di cui sei più fiera?
La ricerca di cui sono più fiera è quella sul ruolo delle cellule della immunità innata nella sclerosi multipla. Mi sono concentrata sulle cellule natural killers, che come si sapeva già sono in grado di uccidere le cellule infettate dai virus e dai tumori. In laboratorio ho visto che queste cellule sono anche in grado di uccidere i linfociti T nelle persone sane, che sono le cellule che causano il danno nella sclerosi multipla. Ma questo meccanismo si inceppa nella sclerosi multipla e penso che questo sia dovuto a uno dei meccanismi che contribuisce alla risposta auto immune della sclerosi multipla.
Qual è il futuro delle terapie contro la sclerosi multipla?
Un obiettivo cruciale per noi è riuscire a sviluppare la medicina personalizzata, perché nessun paziente è uguale all’altro. Capire cosa in una persona ha causato una malattia, potrebbe permetterci di dare a quella persona la terapia giusta in questo momento. Non tutti rispondiamo ai farmaci allo stesso modo. Lo vedo ogni giorno nella mia pratica clinica. Per evitare di perdere tempo nella scelta della terapia giusta sarebbe cruciale riuscire a capire fin dall’inizio a quale farmaco ognuno ha maggiori chance di rispondere.
Francesco Bianco
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