«Era bella, era colta, la passione alle stelle», racconta Alessio Boni, uno dei protagonisti della fiction di Raiuno Tutti pazzi per amore 2. «Ma qualsiasi cosa lei facesse era l’esatto contrario di quello che mi aspettavo. È stata una storia d’amore devastante, di cui non ho mai parlato, un’ossessione. E io ho sofferto tanto, a lungo. Non riuscivo a lavorare, non uscivo più. Finché, dagli occhi di mia madre, ho capito che il mio equilibrio era in pericolo».
Ecco la confessione dell’attore a OK.
«In quei mesi non piangevo. Seguivo con la mente il feretro della passione più devastante della mia vita. Me ne stavo annichilito, malato nell’anima, la rabbia che montava dentro e non riusciva a diventare lacrime. Lei era l’essenza del piacere e il mio veleno, era la mia ossessione.
Basta, dovevo dire basta: perché a volte bisogna uccidere un amore per non soccombere. E allora ti strappi il cuore, lo guardi, attonito, gocciolare.
L’avevo conosciuta per caso, un giorno come un altro. Non sarò mai in grado di spiegare perché proprio lei. Mi aveva sorpreso, autonomo era partito il sogno: “Forse è l’anima gemella”.
Se mi avessero chiesto, allora come ora, com’è la mia donna ideale, avrei buttato giù un elenco di aggettivi. Ma quella volta non c’era un parametro che corrispondesse, la testa era partita per una persona completamente diversa dal mio bigliettino mentale. No, peggio: ci legava come una sensibilità particolare, un filo invisibile che mi sembrava ci rendesse affascinati dalle stesse cose. Un inganno.
Era bella, era colta, amava l’arte come me, la passione era alle stelle. E lì il delirio, la follia. Un momento l’essenza della felicità e un momento dopo un incubo. Non che fosse peggiore di me, non voglio dire questo. Però la sua etica era inconciliabile con la mia, intendo il comportamento che tutti noi abbiamo nei confronti del bene e del male.
Volevo stare con lei e non ci riuscivo: come fai a vivere con qualcuno, quando qualsiasi cosa dica o faccia è l’esatto contrario di quello che pensi tu? Eppure c’era questo afflato che trascende la lucidità razionale, sempre.
Ci ho provato, non mi sono arreso. Con il classico istinto da crocerossino che hanno i protagonisti degli amori contrastati: “Io la salverò, vedrai che cambierà, poi sarà bellissimo”. Invece no, era nero, era solo lo stesso baratro in cui sprofondavo mese dopo mese.
E intanto davo il peggio di me. Io che non ero mai stato il gelosone, il tipo che pedina, che controlla il cellulare, mi ritrovavo a impersonare Otello, e non sulle scene. Non le credevo mai. Era come se questo non riuscire a possederla in pieno mi gettasse nel terrore che il mondo me la rubasse, che un altro se la portasse via. Lavorare? Non ne parliamo. La negatività mi avvolgeva, la tensione era così alta che il mio personaggio lo facevo malissimo. Senza di lei ero infelice, con lei ero infelice. Eppure dipendevo da una sua parola, da una sua telefonata, da un appuntamento al bar.
Gli amici preoccupati: “Perché non esci più?”
Ricordo il viavai di amici da casa mia: “Alessio, come va? Perché non esci più? Che fai rinchiuso?”. Si fermavano ore, fino a notte fonda, ad ascoltarmi, a cercare di aiutarmi. Venivano anche i miei carissimi colleghi di set nella Meglio gioventù, Luigi Lo Cascio e Fabrizio Gifuni.
Andavo a dormire determinato: “Non la vedrò più”. La mattina ci cascavo ancora, abbandonarsi era ancora più dolce dopo il dolore del pensiero di troncare.
A un certo punto quella telefonata di mio fratello Andrea, che è sacerdote: “Cosa c’è?”. E tu non puoi mentire, racconti tutto. Lui è migliore di tutti gli analisti, una manna dal cielo. È uno che si sa donare. Io parlavo e nelle sue sospensioni, nei suoi mmmh, nei suoi silenzi prolungati trovavo le risposte. “Quella passione è pericolosa”, mi dicevo. “Alessio, rischi di perdere il tuo equilibrio”.
E a un tratto ci furono gli occhi di mia madre, uno sguardo ancestrale, intimo, che sembrava arrivare dalla notte dei tempi. Era preoccupatissima. E allora mi preoccupai anch’io.
Fine. Basta. Stop. Dopo cinque, sei mesi di passione violenta ce la facevo. Radunavo le forze e allontanavo la memoria: dovevo cancellare lei, bisognava sopravvivere. Non chiamarla, lasciare i suoi appelli inascoltati, dimenticare il suo odore, scacciare la sua immagine.
Ho sofferto tanto, a lungo. Certo, c’è chi rimane invischiato anni in relazioni di questo genere, mentre io ho scansato in tempo l’ossessione, quella che, dai e dai, prosciuga le energie vitali.
È stato un periodo oscuro. Però, se tornassi indietro, sceglierei di attraversarlo ancora. Sì, in fondo a quella donna di cui non pronuncerò il nome devo dire grazie, perché è per merito suo se in pochi mesi sono cresciuto, da ragazzo sono diventato un uomo.
La vita, poi, è andata avanti. Altre storie e, finalmente, nel 2003, Bianca. Era una sera d’estate, in un giardino idilliaco. Non è stato colpo di fulmine, ma un interesse caldo come un nido che è aumentato ogni giorno. Stare con lei è bello, solare, rassicurante. Mi dà la carica per una giornata di lavoro, mi consola nelle giornate no. Di lei mi piace la curiosità intellettuale, la sua pudicizia, la sua riservatezza. Mi ha chiesto di non diventare un personaggio pubblico, di non trascinarla agli eventi, di non farla finire paparazzata sui giornali. La rispetto. Credo che questo sia l’amore. Non farsi risucchiare in un gorgo di emozioni, ma condividere la vita. Serenamente».
Alessio Boni (testo raccolto da Eliana Liotta per OK La salute prima di tutto di novembre 2007)
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