Carolina Silvagni, 20 anni, di Roma, è studentessa di psicologia. Con la sua testimonianza, partecipa a WEFREE (www.wefree.it), il progetto di prevenzione di San Patrignano.
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Ho iniziato a drogarmi all’età di 13 anni
Avevo appena 13 anni quando mi sono avvicinata alle droghe. È iniziato tutto con qualche canna, poi velocemente sono scivolata nella cocaina. Pensavo di essere guidata dalla curiosità, in realtà era la mia insicurezza a spingermi verso situazioni che mi facessero sentire «uguale a gli altri». La frequentazione con le persone di quel periodo è stato il ponte per entrare nel tunnel, ma la causa era il malessere interiore che non riuscivo ad affrontare, e che probabilmente aveva messo radici in me molto prima. Quando avevo dieci anni, mia mamma aveva avuto un problema di salute ed era stata lontana da casa per diverso tempo; la sua assenza, e ciò che i miei occhi di bambina avevano percepito, mi avevano provocato molto dolore.
Una volta cresciuta, il mio primo istinto è stato quello di fuggire da tutto, le scorciatoie mi sembravano la soluzione ai problemi. I primi ad accorgersi di quanto mi stesse accadendo sono stati i miei genitori, anche per i problemi che avevo a scuola e le frequenti chiamate dei docenti per il mio andamento scolastico. Sparivo, spegnevo il telefono, dicevo bugie: quasi ogni giorno per colpa mia si creava un clima instabile e teso con i miei. La famiglia, infatti, è stata la mia prima valvola di sfogo. Tra le mura di casa esprimevo la mia rabbia, fuori invece fingevo che andasse tutto bene. Nel giro di pochi mesi ero cambiata sia caratterialmente che mentalmente, ero capace di mentire anche alle mie più care amiche che volevano solo aiutarmi. Sfuggivo anche da loro, ero alla ricerca di sbando e gente vagabonda.
Chi fa uso di sostanze si sente invincibile e non ha più limiti
C’è molta presunzione da parte di chi fa uso di sostanze, ci si sente invincibili: non avevo più limiti, mi sono messa in situazioni di rischio, penso di essere stata fortunata a non riportare conseguenze. Ci sono stati momenti in cui ho creduto che non ne sarei più uscita. La situazione è andata avanti così per qualche mese, dopodiché, anche per il fatto che ero minorenne, con un provvedimento del tribunale fu disposto il mio ingresso in comunità, a San Patrignano. Ero in piena fase di ribellione e inizialmente è stato traumatico: ho rivisto la mia famiglia dopo quattro mesi (e so che per chi è maggiorenne passa un anno). Nel giro di un paio di mesi, però, nonostante le difficoltà, ho iniziato ad avvertire un profondo sollievo e senso di liberazione da tutti gli inganni che erano diventati la gabbia della mia quotidianità. E poi, in comunità mi sentivo protetta dai miei stessi errori. Ogni tre mesi potevo vedere i miei genitori che nel frattempo hanno affrontato un percorso parallelo nelle associazioni Anglad (sono in tutto il territorio italiano) e che aiutano a capire come recuperare il rapporto deteriorato con i figli a causa della droga.
La comunità mi ha aiutata a riprendermi la mia vita
Complessivamente a Sanpa sono rimasta due anni e mezzo. In comunità sono riuscita a concludere il liceo e a prendere il diploma e poi, al compimento dei 18 anni, ho iniziato a lavorare, finché sono uscita e ho deciso di iscrivermi all’università. A distanza di qualche anno, posso dire che la droga mi ha fatto capire quanto fossi fragile sebbene mi mostrassi forte. È stata la comunità ad aiutarmi a riprendermi la mia vita, a volermi bene e ad accettarmi, un percorso che non è stato facile. Ora mi riempie di orgoglio vedere la mia vita proseguire in maniera pulita. Se mi volto indietro, vedo una ragazzina insicura che ha commesso una serie di errori, per questo credo che la prevenzione e l’informazione sull’uso di droghe siano fondamentali per salvare tante vite.
Dopo qualche mese dal termine del mio percorso a Sanpa, ho iniziato a collaborare al progetto WEFREE, potando la mia testimonianza: sono la dimostrazione che è possibile farcela, liberarsi dalla droga e riprendersi il proprio futuro. Vorrei essere un aiuto per altri giovani e ogni volta, ricordare il mio vissuto, fa bene anche a me stessa, per tenere ben saldi i piedi per terra e stare lontana da ricadute. Oggi ai giovani vorrei dire che bisogna trovare la forza di chiedere aiuto: amate la vostra vita e rispettatela. E ai genitori, di non arrendersi e avere il polso duro senza demordere, perché non sono situazioni che si possono risolvere in una settimana, è una maratona di coraggio e resilienza.