Testo di Rita Bimbatti,
blogger di PSICOLOGIA E DINTORNI
Con l’avvento della società industriale e con l’arrivo del consumo di massa, quindi con lo sviluppo dell’industria dei giocattoli anche il modo di divertirsi comincia a cambiare, non più giochi e giocattoli auto-costruiti con regole auto-elaborate, ma giocattoli prefabbricati, imposti, senz’anima, con il risultato di espropriare il bambino dell’azione della manipolazione delle cose e della progettazione dell’intera struttura ludica.
In Italia, fino agli anni ‘60, i giochi «tradizionali» erano molto diffusi. Poi, con il rapido aumento del benessere, i bambini hanno potuto procurarsi giochi nei negozi.
Nel frattempo, le strade sono diventate sempre meno sicure e, anche a causa dell’aumento del traffico, i bambini non giocano più nella strada. Tutto questo ha portato alla scomparsa dei giochi di una volta. Infatti, i bambini di adesso non li conoscono più.
Dagli anni Settanta in poi, complici le mutate esigenze della vita quotidiana, il mercato dell’infanzia si amplia a dismisura. I bambini «moderni» oggi hanno a che fare con cavi elettrici, silicio e plastica, in modo da abituarsi fin da subito ai futuri notebook.
Oggi i giochi sono prodotti dalle industrie, la Tv e il computer hanno ucciso la creatività dei ragazzi, eliminando i segni educativi del gioco: il movimento, la comunicazione, la fantasia, l’avventura, la costruzione, la socializzazione.
Un’attività ludica è quindi più divertente quanto più carica di apprendimenti. Insegnare a giocare significa sviluppare le capacità del bambino ma soprattutto insegnare l’uso spontaneo, variabile e interattivo di queste capacità nella condotta ludica.
L’esperienza del gioco insegna al bambino ad essere perseverante e avere fiducia nelle proprie capacità; è un processo attraverso il quale diventa consapevole del proprio mondo interiore e di quello esteriore, incominciando ad accettare le legittime esigenze di queste due realtà.
Qualche esempio di gioco tradizionale creativo: la trottola, conosciuto in tutto il mondo fin dai tempi antichi. Attorno ad essa veniva avvolta una corda, in modo che nell’atto del lancio ruotasse il più possibile. Vinceva chi riusciva a farla girare il più a lungo.
Poi ricordiamo le biglie e i tappi, con i quali si tracciavano delle piste con rettilinei e curve, e lo scopo era arrivare primi al traguardo.
I giochi tradizionali sfruttano spesso principi fisici, sono basati su particolari meccanismi e devono essere costruiti a mano. Tutto questo è di grande utilità didattica. Inoltre, i bambini si sentono motivati nel costruire dei giocattoli e imparano rapidamente nuove tecniche e l’uso di molti attrezzi.
Il valore di questi giochi è dovuto anche alla povertà dei materiali con cui sono costruiti. Infatti è proprio a causa della loro semplicità che lasciano grande spazio alla fantasia e, i bambini, di fantasia ne hanno da vendere. Al contrario, i giochi moderni fanno tutto da soli, mettono il bambino da parte e gli lasciano solo il ruolo di spettatore.
Altro filone di gioco tradizionale è quello di squadra, dove i bambini imparano a rapportarsi gli uni con gli altri, e stimolano i processi di socializzazione attraverso la ricerca di compagni di gioco.
Esempi di giochi tradizionali di squadra: la bandiera, dove si giocava divisi in due squadre tentando di rubare all’avversario un fazzoletto senza toccarlo, pena la perdita del punto. Un altro è la campana, conosciuto anche come scalone, uno tra i più antichi e diffusi al mondo.
Ne sono state registrate diciannove varianti con differenze sia tra nazioni diverse che all’interno dello stesso paese. Si tracciavano a terra delle linee con un gessetto e si saltellava su una sola gamba, evitando che i giocatori calpestassero le linee che delimitano le caselle. Vinceva chi terminava per primo.
Poi ricordiamo il nascondino, noto anche come «rimpiattino»: un gioco fatto di niente ma con il quale ci si divertiva in modo incredibile. L’obiettivo dei giocatori che si nascondevano era di cercare di lasciare i rifugi senza essere visti o toccati e di raggiungere il punto di tana gridandolo ad alta voce per liberare sé stessi, oppure il favoloso «tana libera tutti» per liberare anche gli amici.
Nella nostra società, dunque, che tende sempre più a organizzare la giornata e a sacrificare ogni cosa nel nome della competizione per ottenere dai propri figli il massimo, occorre riconoscere il valore del gioco e assegnargli degli spazi, accanto a quelli dedicati alla scuola e allo studio.
Rita Bimbatti
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