Quando Beatrice Venezi risponde al telefono è appena rientrata dal suo lungo tour in Argentina, dove si è esibita al Teatro Colón di Buenos Aires con la Turandot, l’opera iconica di Giacomo Puccini, proprio nell’anno del centenario pucciniano. Per Venezi, 34 anni, la più giovane di sempre a esordire come direttrice d’orchestra, e concittadina del compositore lucchese, è stato un sogno.
«Il Colón è considerato la Scala del Sud America, un teatro in cui sono transitati i più grandi del mondo», racconta entusiasta a OK, «mi sono sentita a casa, non solo perché si è creata subito grande empatia con l’orchestra, il coro e l’équipe del teatro, ma anche perché il pubblico argentino mi ha accolto con entusiasmo: tutte le sere sono state sold out, in un teatro che contiene quattromila persone».
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Beatrice Venezi: devo prendermi cura del mio corpo
La vita di Beatrice è come la musica che magistralmente dirige: intervallata da momenti calmi e altri frenetici, ma in qualche modo armonica. Perché pur viaggiando da nord a sud del mondo e passando mesi interi lontana da casa, riesce a trovare un fil rouge e una routine che la salvano dalla confusione e le permettono di prendersi cura del suo corpo, coinvolto nella direzione d’orchestra tanto quanto la sua mente.
Beatrice Venezi, lei è sempre in movimento. Come adatta il suo stile di vita a queste giornate?
«Mantenere una quotidianità equilibrata in una vita on the road è più facile quando mi trovo in un posto per un lungo periodo e posso ricreare la routine che ho a casa. Ovunque vado, in particolare, mi piace cercare delle palestre in cui fare pilates e gyrotonic. Qui in Argentina, però, ho preso anche delle lezioni di tango: mi hanno detto che sono portata!».
Come mai queste due discipline?
«La scelta è nata da una necessità fisica: durante il mio lavoro schiena e collo sono continuamente sollecitati. Tra le prove e i concerti, passo tantissime ore in piedi. Senza contare quelle trascorse alla scrivania o al pianoforte per studiare gli spartiti. In entrambi i casi si tratta di posture impegnative, protratte nel tempo, che a un certo punto hanno presentato il conto. Alla cervicale ho anche una piccola ernia».
Che beneficio ne ricava?
«Allungano la muscolatura e la fortificano. Il pilates è più muscolare, mentre il gyrotonic lavora maggiormente sulle articolazioni e sulla distensione della parte superiore del corpo. Sembrano due attività simili, ma in realtà si completano l’una con l’altra e alla fine di una sessione di allenamento mi sento più energica per l’intera giornata. Per questo cerco di allenarmi la mattina, anche se quando ho i concerti che finiscono la sera tardi faccio fatica».
Quando ha cominciato?
«Tre anni fa con il pilates, mentre da un anno con il gyrotonic. Ho le mie palestre di riferimento in Italia, sia a Lugano, città in cui vivo, che a Lucca, dove sono nata e vado a trovare i miei genitori, altrimenti le cerco nelle città in cui viaggio. Punto sempre a ricreare un ambiente a me familiare: non alloggio mai in alberghi, ma in appartamenti, per non essere costretta ad andare tutti i giorni al ristorante. E poi amo entrare nei supermercati all’estero: raccontano così tanto della cultura del posto».
Che rapporto ha con la tavola?
«Sono una golosa, ma allo stesso tempo attenta. Mi piace cucinare, quasi sempre piatti semplici e veloci, mentre quando ho tempo mi cimento in qualche ricetta toscana oppure amo mangiare il pesce con le verdure. Una cosa che ho imparato, influenzata dal mio lavoro, è quella di non mangiare tardi, post concerto: cerco di farlo prima, se capita anche alle 18, perché altrimenti mi appesantisco».
Quando cucina o fa sport ascolta musica classica?
«No, perché per me la musica significa informazione: il mio cervello la processa in modo analitico, non può essere un semplice sottofondo. L’unico momento, al di fuori del lavoro, in cui ascolto musica classica è mentre cammino da sola: ci sono brani classici che mi danno più carica di pezzi pop o rock».
Quando finisce una tournée Beatrice Venezi si premia in qualche modo?
«Passando del tempo a contatto con la natura. Che si tratti di mare, montagna, bosco o cascate, come quelle dell’Iguazú, che ho visitato in Argentina. È un rituale che mi rigenera perché per lavoro passo tante ore in teatro, un posto non solo al chiuso, ma anche privo di finestre. A volte entro la mattina ed esco la sera e non mi rendo nemmeno conto che è passato il giorno».