C’era una volta un ematologo, fiorentino di nascita ma milanese d’adozione, che una notte del novembre 1926 si ritrovò impotente di fronte a una giovane donna appena diventata mamma che, a causa di un’emorragia e alla mancanza di sangue compatibile, morì senza nemmeno vedere suo figlio. Quel medico era Vittorio Formentano, aveva poco più di 30 anni, e dopo quell’episodio tornò a casa con un obiettivo: creare una rete di persone che donasse il proprio sangue per salvare chi ne aveva bisogno. Così, a febbraio del 1927, lanciò un appello nella città di Milano e in poco tempo, in via della Moscova dove risiedeva il suo Istituto ematologico, si presentarono volontariamente in 17. Da quella manciata di persone nacque il primo gruppo di donatori dell’Associazione volontari italiani del sangue, che oggi tutti conoscono e chiamano Avis.
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Avis: oltre 3000 sedi comunali in tutta Italia
Dal quel 1927 ne è passata di acqua sotto i ponti: da Milano, dove è stata fondata la prima sede d’Italia e dove nel 1946 è nata la sede nazionale, l’associazione si è estesa in tutta la penisola (oggi è articolata in 22 Avis regionali, 119 provinciali e oltre 3.200 sedi comunali, comprese le 19 fondate in Svizzera da emigranti italiani negli anni Sessanta) e ha raccolto sempre più soci donatori, superando il tetto del milione.
Privata e senza scopo di lucro, nel 2021 ha potuto contare su 1,3 milioni di soci, per un totale di quasi 2 milioni di unità di sangue ed emocomponenti donati, confermandosi come la più grande organizzazione di volontariato del sangue italiana, in grado di contribuire a circa il 70% del fabbisogno nazionale. Il restante 30% è donato da chi è socio di altre associazioni, da chi non è affiliato ad alcun ente, oppure da chi appartiene alle forze armate.
L’autosufficienza di sangue è sempre garantita
Quello italiano è un unicum nel panorama mondiale: grazie alla donazione volontaria, anonima, non remunerata e periodica, l’autosufficienza di sangue viene sempre raggiunta al 100%. «L’autosufficienza nazionale è garantita attraverso le cessioni e la collaborazione tra le varie regioni ed è sancita dalla legge», fa sapere Gianpietro Briola, presidente di Avis Nazionale. «Ci sono regioni che hanno stabili convenzioni con altre. Ad esempio Lazio e Sardegna, aree carenti, hanno un accordo rispettivamente con la Provincia autonoma di Trento, l’Emilia Romagna, la Lombardia e il Piemonte, che invece sono regioni eccedenti. Nel caso del Lazio e di altre regioni, come la Campania, la carenza è dovuta a un numero di raccolte sangue inferiore alla media nazionale, mentre la Sardegna registra un maggior consumo di sangue a causa di un elevato numero di persone affette da talassemia».
Le donazioni di sangue sono in calo: il Covid ha dato il colpo di grazia
Nel giro di dieci anni la popolazione dei donatori è diminuita di circa il 5%, ma se nei cinque anni prima del Covid il dato era stato sostanzialmente stabile, il diffondersi della pandemia ha dato il colpo di grazia. Non tanto durante il primo lockdown, quando la donazione è sempre stata una giustificazione accettata per uscire di casa, quanto nei due anni successivi, fino a quello corrente, in cui le restrizioni si sono a poco a poco allentate e le varianti hanno colpito un gran numero di persone. «Nei primi otto mesi del 2022 abbiamo registrato un calo del 2% nella raccolta di sangue», conferma il presidente.
«E nonostante nel 2021 i donatori di sangue e plasma siano stati più di 1,6 milioni, in ripresa rispetto all’anno precedente, i numeri sono rimasti inferiori rispetto al periodo pre pandemia (-1,8% in confronto al 2019). Questa flessione va ricondotta da una parte alla variante Omicron, che ha causato un aumento dei casi di positività trasversalmente nella popolazione, influendo sulla disponibilità dei donatori più che in altri periodi della pandemia. Dall’altra parte non possiamo dimenticare che da ormai troppi anni registriamo una grave carenza di personale sanitario impiegato nelle strutture trasfusionali». In Italia ci sono meno di cinque centri trasfusionali ogni milione di abitanti e il numero di professionisti sanitari operanti in tali strutture ogni 100mila persone è inferiore a 13.
I giovani donano sempre meno
A peggiorare l’andamento delle donazioni contribuisce anche il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione: nell’ultimo decennio la fascia giovane dai 18 ai 45 anni è passata da poco più di un milione di donatori nel 2012 a circa 860mila nel 2021. Per sensibilizzare i giovani al tema delle donazioni, l’Avis porta avanti anche dei progetti nelle scuole. A ottobre 2022, ad esempio, Avis è entrata in 60 istituti superiori di 11 regioni italiane grazie al progetto RISE – Realtà Virtuale, Innovazione, Salute ed Educazione che, attraverso un videogioco da fruire indossando appositi visori, cerca di stimolare una riflessione sui temi della cittadinanza attiva e degli stili di vita sani.
«Purtroppo, però, i giovani che donano, e i giovani in generale, sono sempre meno, mentre gli anziani aumentano e con loro, quando e se diventano pazienti cronici, aumenta la necessità di sangue per le trasfusioni», fa notare il presidente Avis. «Inoltre, non possiamo trascurare il fatto che è anche cambiato il contesto sociale e lavorativo, sempre più precario: si fatica a trovare un lavoro, a stabilizzarsi e a ritagliarsi del tempo per se stessi. In questo quadro risulta difficile chiedere un permesso per donare, specialmente tra i lavoratori part-time».
Aumentare orari e strutture in cui donare
Per tutti questi motivi a ottobre 2022 Avis ha lanciato la campagna #Diamodipiù, sottolineando una lista di interventi prioritari da mettere in campo affinché si continui a garantire l’autosufficienza di sangue. Tra le istanze proposte dell’associazione, dare la possibilità ai donatori, soprattutto i più giovani, di conciliare meglio i propri impegni con l’orario dei punti raccolta, aprendo le donazioni nel weekend e nel pomeriggio, cosa che, specifica Briola, «oggi non è del tutto garantita, un po’ per carenza del personale sanitario, un po’ perché molti ospedali che permettono di donare lo fanno solo dalle 8 alle 12».
Inoltre per Avis è fondamentale incrementare l’indice di donazione individuale, oggi fermo all’1,6%. Anche se l’autosufficienza di sangue è garantita, infatti, ci sono momenti dell’anno in cui c’è un calo fisiologico delle donazioni, in genere quello estivo e quello che va dalla metà di dicembre alla fine di gennaio. Nel primo caso perché le persone vanno in vacanza, nel secondo perché c’è il picco dell’epidemia influenzale.
«Fino a qualche anno fa, prima del Covid, in virtù di questo calo delle donazioni, gli ospedali si organizzavano in modo da ridurre le operazioni e le attività in cui serve più sangue», continua a spiegare l’esperto. «Adesso, invece, questo non accade più perché c’è da recuperare ciò che non è stato fatto nei mesi più critici della pandemia. Il risultato è che la richiesta di sangue rimane alta, ma le donazioni in questi periodi diminuiscono sempre».
Infine, per l’associazione è basilare aumentare la diffusione capillare su tutto il territorio italiano dei punti prelievo, in particolare quelli per la raccolta di plasma, di cui, a differenza del sangue, in Italia non viene garantita l’autosufficienza. A oggi, infatti, il nostro Paese è ancora costretto a importare dall’estero circa il 25% dei farmaci prodotti con questo emocomponente, indispensabile nella cura dell’emofilia, delle immunodeficienze primitive e secondarie, di alcune patologie neurologiche, nella prevenzione di tetano, dell’epatite B e nei trapianti.
Dove finisce il sangue donato?
Secondo dati Avis, in Italia ogni anno vengono trasfuse oltre 3 milioni di unità emocomponenti, circa 8000 al giorno: che fine fanno tutti questi globuli rossi, bianchi e piastrine frutto della donazione di migliaia di volontari? «Prima che settori come quello della cardiochirurgia o dell’ortopedia affinassero le tecniche, fino a raggiungere la possibilità di operare con metodi mininvasivi, molto sangue veniva utilizzato in questo tipo di interventi. Allo stesso modo i trapianti, nonostante ancora oggi quello di fegato e di cuore continuino a richiedere la disponibilità di molte sacche per essere affrontati», conviene Briola.
«Gran parte si utilizza poi per i pazienti cronici, ad esempio gli anziani anemici per mielodisplasia, oppure per chi è affetto da malattie ematologiche, leucemie o patologie ematopoietiche, in cui c’è bisogno di parecchi globuli rossi, plasma e piastrine. Sia per fare i farmaci plasmaderivati, sia per le trasfusioni. Nei pazienti oncologici, invece, si limita l’impiego dei globuli rossi perché la politrasfusione rischierebbe di allertare il sistema immunitario e di distoglierne l’attenzione dalle cellule tumorali durante l’iter terapeutico, a svantaggio del paziente».
Come riportano i dati del Centro Nazionale Sangue e del Ministero della Salute, sono necessarie da due a dieci sacche di globuli rossi per curare un ferito grave in un incidente; fino a dieci per un trapianto di cuore; 40 per uno di fegato; mentre ne servono da 30 a 50 all’anno per garantire una vita normale a un talassemico. Per quanto riguarda il plasma, invece, sono necessarie circa 1.200 donazioni per produrre i medicinali necessari al trattamento di un paziente emofiliaco, mentre «solo» 130 per trattare un paziente affetto da immunodeficienza primitiva.
L’impegno di Avis
Nel 2017 Avis ha festeggiato il suo 90° anniversario, ma nulla è cambiato del suo spirito originario. Oggi l’associazione continua a impegnarsi nella promozione del volontariato e della solidarietà, come dimostrano le numerose attività svolte sul territorio, anche collaborando con realtà del terzo settore e le istituzioni locali con convegni, seminari, tavole rotonde e corsi di formazione. Inoltre concede la possibilità ai giovani di svolgere il servizio civile presso le sue sedi, e nelle scuole cerca di promuovere la cittadinanza attiva e gli stili di vita sani e corretti. A queste attività si aggiunge il sostegno alla ricerca scientifica sulle malattie rare e genetiche legate al sangue (ma non solo), tanto che dal 2001 Avis sostiene Fondazione Telethon partecipando attivamente alle attività di raccolta fondi su tutto il territorio nazionale.
Donare il sangue: chi può farlo e come
Per candidarsi a donare il sangue è sufficiente avere dai 18 ai 60 anni, non avere un peso inferiore ai 50 chili, essere in buona salute, cioè sentirsi bene e svolgere normali attività fisiche, e avere uno stile di vita che escluda comportamenti a rischio. Chi desidera continuare a donare dopo i 60 può essere comunque accettato, a discrezione del medico responsabile: ci sono persone che continuano a donare fino ai 65 o ai 70 anni, se non hanno particolari problemi di salute. L’idoneità alla donazione del sangue viene stabilita da un medico mediante un colloquio, una valutazione clinica e una serie di esami di laboratorio previsti per garantire la sicurezza del donatore e del ricevente.
Una volta che si viene «arruolati», i donatori periodici hanno diritto a una serie di esami gratuiti: non solo a quelli del sangue prima di ogni donazione, ma, con cadenza almeno annuale, anche ai seguenti controlli ematochimici: glicemia, creatininemia, alanina-amino-transferasi, colesterolemia totale e Hdl, trigliceridemia, protidemia totale, ferritinemia. Da molti anni, inoltre, nel periodo invernale il vaccino antinfluenzale è un diritto del donatore, anche se non rientra nella categoria di paziente over 65 oppure fragile.
Tipologie di donazioni
Esistono sostanzialmente due tipi di donazione: quella di sangue intero e quella di emocomponenti mediante aferesi, con cui si può raccogliere plasma (plasmaferesi), piastrine (piastrinoaferesi) oppure globuli bianchi (leucaferesi). Per la legge italiana tra una donazione e l’altra devono passare:
- 3 mesi per gli uomini e le donne non in età fertile per il sangue intero
- 6 mesi per le donne in età fertile per il sangue intero
- 14 giorni per il plasma
- almeno 1 mese per passare dalla donazione di plasma a quella di sangue intero.
Ci sono persone a cui viene consigliato di donare prevalentemente il plasma e non il sangue per tutelare la salute del donatore oppure per ottimizzare l’uso di questo emocomponente nella produzione dei farmaci salvavita. Sono un esempio le donne con emoglobina bassa oppure le persone con gruppi sanguigni AB o B, che avrebbero minor opportunità di utilizzo perché poco diffusi nella popolazione generale. L’impiego del plasma di questi donatori risulta molto utile nella produzione di medicinali plasmaderivati poiché in questo campo farmacologico e clinico l’appartenenza a un gruppo sanguigno risulta irrilevante, a differenza di quanto avviene in ambito trasfusionale. Si può donare in tutta Italia, nei centri di raccolta gestiti direttamente da Avis oppure in ospedale. Per conoscere la sede Avis più vicina, è possibile consultare il sito internet dell’associazione.