Nel saggio illustrato Storia della Bellezza, edito nel 2004 da Bompiani, Umberto Eco sosteneva che la bellezza non fosse qualcosa di universale e immutabile nel tempo, ma che assumesse accezioni e volti diversi a seconda dei luoghi e dei contesti storici nei quali s’inseriva.
A pensarci bene oggi la tendenza, soprattutto tra i giovani e i giovanissimi – sempre più spesso nati emettendo il primo vagito davanti allo schermo di uno smartphone – è quella di confondere la bellezza con la fotogenia. Ci si piace e si pensa di piacere agli altri solo se si è venuti bene nei selfie, l’autostima si costruisce giorno dopo giorno con i like e i commenti sotto agli scatti postati in rete e si accetta la propria immagine solo se questa può essere modificata con i filtri di Instagram o le app di fotoritocco in base ai canoni estetici dettati da chi piazza contenuti sulle piattaforme digitali.
È proprio sui social network che i giovani si sentono al sicuro, cercano esempi ai quali ispirarsi e iniziano a formare la propria identità ma, al contempo, è qui che spesso subiscono l’influenza di messaggi di bellezza tossici, che propongono modelli irrealisticamente perfetti e innescano dinamiche di giudizio continuo nei confronti di sé stessi e degli altri.
C’è però una generazione di giovani donne e uomini che, proprio sulle stesse piattaforme, sta provando a rompere le regole di questa narrazione illusoria, a promuovere altri significati possibili della parola bellezza e ad arginare la tendenza per cui se la propria immagine non può essere ritoccata, allora meglio evitare di esporla.
Una che si batte in questa direzione è Aurora Ramazzotti, che in passato non solo ha subito il fascino dell’estetica «filtrata», ma ha anche dovuto fare i conti con il giudizio non richiesto dei cosiddetti leoni da tastiera. Proprio per questo oggi la conduttrice 26enne è anche la portavoce di Il Costo della Bellezza, un progetto di sensibilizzazione promosso da Dove in collaborazione con Cittadinanzattiva e Social Warning – Movimento Etico Digitale per proporre lo sviluppo di un percorso formativo nelle scuole sull’uso consapevole dei social media.
«Iniziative come questa ci aiutano a non sentirci soli davanti ad atteggiamenti malsani che per anni abbiamo sopportato pensando che non fossero in alcun modo arginabili», interviene Ramazzotti. «Purtroppo non solo so cosa significa, perché l’ho vissuto sulla mia pelle, ma conosco anche tante persone che hanno condiviso con me lo stesso disagio».
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Quindi c’è stato un periodo in cui anche lei si è autoconvinta di essere sbagliata perché influenzata dai modelli estetici proposti dai social e vessata dal continuo giudizio altrui?
«Durante l’adolescenza, fase già di per sé piuttosto complicata perché si inizia a scoprire sé stessi e a costruire la propria identità, ho iniziato a scontrarmi con l’immagine di quella ragazzina castana riflessa nello specchio, fino a sviluppare una relazione quasi disfunzionale con essa. La evitavo, la sognavo diversa, la coprivo con felpe oversize. Siamo noi i primi giudici di noi stessi ed ero io, infatti, la prima a non volermi bene per quella che ero. Quando poi i social hanno invaso le nostre vite, nel mio delicato percorso di accettazione ho dovuto fare i conti non solo con ciò che imponeva e pretendeva, a livello estetico, la comunità digitale, ma anche con il giudizio, spesso feroce, di chi credeva non rispondessi a quegli standard prestabiliti».
Immagino, dunque, che anche lei abbia usato app di fotoritocco e filtri per modificare la sua immagine…
«Certo che sì, ho fatto di tutto pur di vedermi come speravo gli altri mi vedessero: modificavo la luce degli scatti, eliminavo brufoli e occhiaie, snellivo la figura, miglioravo l’incarnato. Stavo diventando schiava della visione che avrei voluto di me stessa, che però non era autentica. Del resto chi non l’ha fatto? Ed è proprio questo il problema. Il fatto che sia normalità volersi vedere in un modo che non rappresenta la realtà e di conseguenza la vera bellezza. Si innesca così un’ansia da paragone che ti porta a non accettarti per quello che sei e a cercare di raggiungere, sempre e comunque, quell’inarrivabile perfezione che vedi in altri. E allora ritocchi, modifichi, pialli».
I messaggi tossici veicolati dai social e gli attacchi spesso subiti possono minare la salute mentale dei giovani e favorire l’insorgenza di disturbi del comportamento alimentare. Lei ne hai mai sofferto?
«Come penso molte adolescenti, ho avuto anche io un periodo in cui il mio rapporto con il cibo e con il mio corpo in generale si è complicato, complici anche la mia non voluta esposizione mediatica, una società che da sempre promuove standard di bellezza irraggiungibili e un’età in cui la scorciatoia sembra essere l’unica soluzione. Ne sono uscita con il tempo, grazie allo sport e alla terapia. Forse sarà un percorso che durerà tutta la vita, ma non è mai troppo presto o troppo tardi per iniziare a lavorare su sé stessi».
Quali sono gli attacchi subiti nel tempo che l’hanno fatta soffrire maggiormente?
«Leggere o sentire che non ho alcun talento. Mi fa male non essere apprezzata a prescindere e questo significa spesso essere giudicata solo sulla base del mio nome. Non ambisco a piacere a chiunque, piuttosto vorrei dar loro un reale motivo per non apprezzarmi. Tuttavia, tendo molto a colpevolizzarmi, pensando che se le persone continuano ad avere pregiudizi su di me è anche perché non sono stata in grado di dimostrare loro abbastanza. E questo mi spinge a fare sempre di più e meglio, sperando che un domani anche i più critici possano ricredersi».
Tempo fa si è molto parlato della sua foto con l’acne. Quel gesto ha rappresentato un punto di svolta?
«Sì, è come se quella foto mi avesse un po’ svegliata da una sorta di torpore. Abituata com’ero a correggere i miei scatti, stavo per rinunciare a condividere una bella immagine di me solo perché, a causa dell’acne, avrei dovuto impiegare molto tempo nel ritoccarla. Ecco, lì mi sono resa conto di essere arrivata a un punto di non ritorno. Del resto, pensavo, chi mi vede in giro mi vede così come sono e non attraverso un filtro di Instagram. E poi, di acne soffrivo io come tanti altri ragazzi, quindi forse era arrivato il momento che la si iniziasse a normalizzare anche sui social network».
Che lavoro ha fatto su sé stessa per accettarsi e dare meno peso al giudizio degli altri?
«Ho iniziato questo percorso ormai tanti anni fa e non posso dire di averlo concluso, anzi, lavoro su me stessa ogni giorno. Certamente mi hanno aiutata lo sport, l’analisi, che faccio ormai da tanto tempo e reputo fondamentale, e la presenza di un compagno che mi fa sentire a mio agio. Cosa, quest’ultima, importantissima visto che, a mio avviso, le relazioni e l’approccio con l’altro partner possono intensificare questo senso di inadeguatezza che sentiamo con il nostro corpo».
«In generale crescere, acquisire esperienza, lavorare e, ora, diventare mamma hanno inconsapevolmente cambiato le mie priorità, la mia visione delle cose, la considerazione che ho dei social. Rispetto a qualche anno fa, oggi mi interessa molto di più che si percepisca la sostanza che sta sotto all’involucro piuttosto che l’involucro stesso. Insomma, a volte bisogna che la vita faccia il suo corso e ti insegni, coi suoi tempi, a dare meno peso al giudizio degli altri e a valutare con coscienza quello che ti sta attorno».
Sempre più spesso anche le neomamme, il cui corpo è in trasformazione, si sentono condizionate dai messaggi che circolano in rete, fino a provare vergogna per le proprie forme. Anche lei ha riscontrato questa tendenza?
«Il problema è che si pone sempre l’accento sui corpi, celebrando ad esempio la velocità con cui una neomamma riesce a perdere peso, a scapito di altri temi ben più importanti, come la tutela della salute mentale in questa delicatissima fase della vita. Non pensavo che sarebbe stato così, soprattutto per la visione che avevo di me fino a qualche anno fa, ma non ho mai speso un secondo del mio post partum ad angosciarmi per il mio aspetto. Le mie nuove forme raccontavano vita e non potevo esserne più fiera. Comunque sui social vedo anche tante donne che si mostrano come sono, anche dopo la gravidanza, quindi credo stiamo andando nella giusta direzione».
Ha detto che la maternità ha cambiato la sua visione delle cose. L’ha sfiorata il pensiero che, un domani, i social potrebbero avere effetti anche dannosi sul benessere psicofisico di suo figlio?
«Sicuramente è un aspetto da non trascurare. I social avranno certamente un impatto sulla sua crescita, sulla sua autostima, sui suoi rapporti con le altre persone e sarà compito mio e del padre aiutarlo a gestire questi strumenti nel modo più consapevole possibile. Al momento il regalo migliore che posso fargli è garantirgli una forma di tutela, non mostrando il suo viso in foto. Deciderà lui se e quando esporsi, senza dover subire le scelte dei suoi genitori».