Come la pesca in una rete gettata nell’oceano. Anni di ricerche sulla sclerosi multipla stanno cominciando a dare i loro frutti. L’identificazione di diversi geni predisponenti, per la stragrande maggioranza correlati con l’attività del sistema immunitario e la scoperta, quindi, che siamo di fronte a una malattia autoimmune, spesso collegata a una pregressa infezione col virus di Epstein Barr, responsabile della mononucleosi.
I molti lavori degli epidemiologi che hanno scoperto che nei malati i tassi di vitamina D sono più bassi aprendo la strada all’idea, non ancora dimostrata, che la vitamina possa essere un aiuto. E, infine, la svolta anche sul piano della terapia: annunciata con grande clamore e con un grande lavoro pubblicato circa un anno fa sul New England journal of Medicine, arriva anche in Italia la pillola capace di arginare la malattia, appena approvata dall’Agenzia Italiana per il Farmaco. Si tratta di fingolimod, un derivato sintetico di una sostanza di origine naturale che agisce modulando il sistema immunitario, tanto che originariamente era stato proposto come farmaco antirigetto nei trapianti.
«In natura si ricava dai funghi Isaria sinclairii e Myrothecium verrucaria, tradizionalmente usati nella medicina popolare cinese come elisir di lunga vita», spiega Martin Duddy, neurologo al Royal Victoria Infirmary a Newcastle-upon-Tyne (Gran Bretagna). La nostra medicina ha osservato, invece, che questa molecola agisce sui linfonodi, i filtri che si occupano di raccogliere e setacciare germi e virus che entrano nell’organismo e da cui partono i linfociti, le cellule immunitarie che combattono le infezioni.
E lo fa con un meccanismo innovativo perché agisce a monte del processo infiammatorio caratteristico della sclerosi multipla. A scatenare la malattia, infatti, è una risposta errata del sistema immunitario che attacca i componenti del sistema nervoso scambiandoli per agenti estranei: i linfociti prodotti in eccesso dentro i linfonodi, si riversano nel circolo sanguigno, oltrepassano la barriera emato-encefalica, ed entrano nel sistema nervoso centrale. Qui causano infiammazione e perdita di mielina, la guaina protettiva che avvolge e isola le fibre nervose e che permette loro di far passare gli impulsi elettrici.
Una degenerazione cronica che, a seconda della forma che prende la malattia, porta a una progressiva disabilità. Per prevenire l’attacco alla mielina, fingolimod contrasta l’uscita dei linfociti dai linfonodi. E lo fa in maniera significativamente maggiore di quanto faccia la terapia oggi prevalente, l’interferone beta-1a. Ma fingolimod non è che la prima compressa per la sclerosi multipla ad arrivare sul mercato: altre sono in dirittura di arrivo. Il teriflunomide, un altro modulatore della risposta immunitaria che agisce però su un target diverso, ha dimostrato un’efficacia simile a quella della terapia standard con il vantaggio però di essere una compressa; il laquinimod, molecola capace di diminuire la risposta immunitaria dei malati che si è dimostrata efficace nel rallentare la progressione verso la disabilità.
«E poi il BG-12, una molecola già usata in Germania nella cura della psoriasi che agisce sullo stress ossidativo limitando l’infiammazione e proteggendo i neuroni», spiega Carlo Pozzilli, responsabile dell’ambulatorio sclerosi multipla all’Ospedale Sant’Andrea di Roma: «La sua efficacia è doppia rispetto all’interferone anche se leggermente inferiore a quella del fingolimod. Ma dalla sua ha che è già stato usato per anni, e senza effetti collaterali importanti». La questione degli eventi avversi legati all’assunzione di questi nuovi farmaci non può essere, infatti, sottovalutata. Per questo, già dal marzo 2011, presso l’Ospedale San Martino di Genova è attivo l’Expanded Programm Access with fingolimod a cui hanno aderito finora circa 600 persone in cura presso 80 centri italiani.
«È uno studio di tipo osservazionale: viene somministrata la terapia e vengono prese informazioni riguardo ai possibili effetti collaterali del farmaco, come per esempio la bradicardia, eventuali problemi oculari, il valore dell’emocromo», spiega Gianluigi Mancardi, coordinatore dello studio e presidente del Comitato Scientifico dell’Associazione Italiana Sclerosi Multipla (Aism). Il sistema di sorveglianza italiano, d’altronde, è un esempio per molti Paesi, che «ci corteggiano», come afferma Maria Trojano, ordinario di Neurologia all’Università di Bari, e prossimo presidente dell’Ectrims, il comitato europeo per lo studio e la ricerca sulla sclerosi multipla che ha deciso di realizzare un registro europeo della malattia, proprio sull’esempio di quello che già viene compilato dai centri italiani.
D’altronde è solo raccogliendo molti dati che si riesce a scattare una fotografia quanto più realistica della portata della malattia. L’analisi della banca dati “iMed”, a cui partecipano solo alcuni Paesi, tra cui l’Italia, per esempio, non è stata priva di sorprese. «Non solo la sclerosi multipla colpisce più le donne che gli uomini, ma la forbice va aumentando. Negli ultimi decenni, soprattutto nel nord del mondo, il rapporto è passato da 2 femmine per 1 maschio, a 3 a I», spiega Trojano che, con il suo gruppo di ricerca, è impegnata a capire quali possano essere le cause di questo fenomeno: «Il cambiamento che abbiamo registrato è stato repentino, si è giocato nel corso degli ultimi 50 anni, troppo poco perché le cause siano genetiche. L’imputato principale è quindi l’ambiente e il cambiamento di abitudini e stili di vita: la minore esposizione al sole, l’avanzamento dell’età media della prima gravidanza, la maggiore esposizione ad agenti tossici», commenta la neurologa.
Il sole è importante perché consente la produzione di vitamina D, capace di modulare il sistema immunitario e di inibire le cellule che attaccano la mielina nei malati. «Gli estrogeni prodotti in grande quantità durante la gravidanza, soprattutto negli ultimi tre mesi, prevengono possibili ricadute meglio di qualsiasi farmaco», spiega ancora Trojano che su Neurology ha pubblicato uno studio che dimostra come l’allattamento nelle donne con sclerosi multipla non sia dannoso.
Quello che mette a rischio queste pazienti è piuttosto il brusco calo dei livelli di ormoni dopo il parto: «Perciò stiamo studiando la possibilità di una terapia sostitutiva che renda più dolce il passaggio alla normalità», conclude il medico. Le differenze fra uomini e donne sono evidenti anche nella risposta alle terapie: uno studio condotto per sette anni su una popolazione di 3 mila persone con sclerosi multipla in trattamento con interferone beta evidenzia che donne e uomini migliorano in maniera differente. Nelle prime la malattia progredisce di meno e quindi la strada verso la disabilità rallenta, mentre nei secondi diminuisce il numero delle ricadute. Differenze che sarà interessante andare a studiare anche sui farmaci di nuova generazione, quelli che promettono di rivoluzionare la vita dei pazienti.
Fonte L’Espresso
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