Emergenza nei pronto soccorsi. Burocrazia. Mancanza di risorse. In giorni di polemiche e difficoltà per la Sanità italiana, anche i medici si interrogano sul futuro e sul presente, spesso complicato, della loro professione. Lo fanno, per esempio, su un social network dedicato ai camici bianchi (Nuto), lanciato qualche mese fa. Cosa chiedono? Maggiori risorse per gli ospedali e per la ricerca, più formazione, leggi chiare che tutelino la dignità del paziente. Perché il rischio, sottolineano nei commenti e nei forum, è che la sanità imploda.
La piazza virtuale, il cui accesso è riservato ai soli medici, diventa luogo di incontro e di confronto sui temi caldi della salute. Dalla gestione dei posti letto in ospedale alla richiesta di una legge sul testamento biologico, dalla condivisione di corsi per la formazione ai consigli per gestire casi terapeutici, nei loro interventi quotidiani sul «Facebook dei camici bianchi», sottolineano l’importanza di non ridurre la spesa del settore sanitario che, spesso, a stento riesce a fronteggiare le richieste dei cittadini.
Per fronteggiare crisi e sprechi, per esempio, propongono di mappare gli ospedali per individuare le strutture «virtuose» e quelle «sprecone», nonché i casi che hanno bisogno urgente di risorse. Migliorando le condizioni di lavoro di medici e infermieri, e dunque anche la vita dei pazienti.
Il problema della reperibilità dei posti letto negli ospedali? «Si risolve improvvisando giorno per giorno tenendo pazienti nelle barelle, trasferendoli quando possibile in altre strutture», scrive un medico. «Il sistema migliore sarebbe mettere i pazienti da ricoverare ovunque ci sia un letto, purché si tratti di pazienti a bassa criticità; il medico del reparto che non ha il posto letto, dovrebbe quindi seguire il paziente in un altro reparto».
Altro tema scottante, l’autodeterminazione terapeutica e il testamento biologico. A due anni dalla scomparsa di Eluana Englaro (9 febbraio 2009), i membri di Nuto sottolineano l’importanza di un provvedimento che tuteli i valori di libertà e dignità della persona, una legge «partecipata» e non imposta. «Mi piacerebbe vivere in un Paese dove il singolo individuo fosse in grado di autodeterminarsi, e di fronte a situazioni ben precise senza possibilità di cura o di estrema sofferenza, di scegliere per sé che cure fare e fino a che punto spingersi, idratazione e alimentazione forzata inclusi», scrive uno dei partecipanti. «Spesso mi trovo paradossalmente a dovermi confrontare più con la paura dei colleghi che non accettano che un paziente possa decedere, anche se arrivato “al capolinea”, piuttosto che con l’ansia dei congiunti che non vogliono accettare la morte del proprio caro».
Infine, un appello perché la ricerca riceva il sostegno che merita, limitando la fuga all’estero dei migliori talenti, e per la semplificazione della burocrazia.
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