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App per la salute: funzionano davvero? Una mini-guida per orientarsi negli App store

E' un mercato da oltre 6 miliardi di dollari. Le App più scaricate sono per il fitness e la dieta, ma anche per automonitoraggio di malattie croniche. Enormi le potenzialità, ma anche i rischi: oggi mancano ancora una regolamentazione chiara

Che bello sarebbe avere il medico a portata di smatphone, sempre nella tasca della giacca o sulla scrivania, pronto a controllare glicemia e pressione o snocciolare consigli su come mantenerci in salute con dieta e attività fisica. Devono averlo pensato in molti, anche tra aziende tecnologiche, investitori e società scientifiche, tanto che quello della salute ‘mobile’ è un mercato in rapida ascesa che oggi raggiunge un valore mondiale di ben 6,7 miliardi di dollari, stando alle stime della società di ricerca Visiongain relative al 2014. Una vera e propria ‘appidemiologia’, una diffusione epidemica di App per il benessere e medicali che, in pochi anni ha imbottito le vetrine dei negozi virtuali, con merce scaricabile a prezzi stracciati (molte App costano meno di un dollaro). Solo nell’Apple Store si contano 9 mila servizi scaricabili nella categoria ‘medicina’ e 15 mila in quella ‘benessere’, e altrettanto numerosi quelli offerti dai competitor Google e Samsung e da start-up minori, molte dai nomi fantasiosi a metà strada tra i colossi del mercato e le iniziative ‘da scantinato’. Sono migliaia anche le promesse racchiuse nell’offerta del download che puntano a sensibilizzare alla prevenzione, promuovere stili di vita corretti, migliorare il rapporto medico-paziente, educare all’automonitoraggio del proprio stato di salute. Quante di queste promesse, però, siano davvero mantenute è ancora da stabilire.

Stile di vita: te lo insegna lo smartphone

Gruppo San Donato

Le App più popolari, e su cui i ‘big’ della tecnologia mobile stanno investendo, riguardano il mantenimento della forma fisica e la dieta quotidiana. Molte sfruttano già i cosiddetti ‘smart clothes’, orologi o braccialetti da indossare, ad esempio, prima di andare a correre e che contano passi, battiti e altre funzioni vitali, tenendo traccia del buon allenamento. La App ‘B-Mobile’, testata dai medici del Miriam Hospital di Providence (Usa), è riuscita anche a far muovere di più persone obese e in sovrappeso: dai dati pubblicati su ‘Plos One’, i partecipanti allo studio in una settimana hanno ridotto del 6 per cento la sedentarietà. «L’uso di App può davvero incidere sugli stili di vita», sottolinea Eugenio Santoro, direttore del Laboratorio di Informatica Medica dell’IRCCS – Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano. «Esistono però dubbi soprattutto sulla reale attendibilità scientifica dei dati rilevati dai dispositivi indossabili». Perplessità anche sull’efficacia di alcune App nel guidare chi le usa verso il risultato atteso. «Se l’intento è solo quello di adottare un’alimentazione più sana o seguire un piano di fitness, in assenza di stati patologici, il loro uso non è rischioso: il peggio che può capitare è che non abbiano alcun impatto sullo stile di vita. Diverso è il quadro per le App che si rivolgono ai pazienti suggerendo loro farmaci o altri medicamenti », spiega l’esperto.

C’è da fidarsi?

Nessun timbro di qualità, certificazione di efficacia o percorso di approvazione: di fatto, chiunque può sviluppare e ‘lanciare’ una App. Nel 2013 la Food and Drug Administration (Fda) americana ha iniziato ad affrontare il problema, concentrandosi solo su quelle che trasformano lo smartphone in uno strumento medicale, al pari di un elettrocardiografo o un test delle urine. La maggior parte del mercato, però, sfugge a queste prime limitazioni e le istituzioni, al momento, latitano. Come orientarsi? «L’utente deve essere prudente e fare attenzione ad alcuni parametri», suggerisce Francesco Pinciroli, direttore dell’e-Health Lab presso il Dipartimento di Bioingegneria del Politecnico di Milano, che promuove una ‘carta di identità’ per riconoscere le App. «Importante è controllare i servizi offerti, il pubblico a cui sono rivolte e chi ha sviluppato l’applicazione, maggiore garanzia da enti di ricerca, istituti e aziende del settore medicale. Anche il numero dei download è indicativo: curando che alcune App sono scaricate con regolarità, e altre magari solo il giorno del rilascio e poi abbandonate».

Chi c’è dietro a una App

Nell’era pionieristica della salute ‘da taschino’ è difficile distinguere quelle affidabili da quelle ideate solo a scopo commerciale. Sebbene le criticità siano evidenti, in termini di affidabilità del prodotto, in alcuni casi dietro l’interfaccia colorata si nasconde un lavoro rigoroso. Lo spiega Alessandro Casini che cinque anni fa, con il collega Alessandro Tozzi, entrambi specialisti in Gastroenterologia e Nutrizione Umana, ha ideato il NUNA, una start-up e spin-off dell’Università degli Studi di Firenze da cui è nata una App per guidare gli utenti a fare la spesa al supermercato, secondo i principi della dieta mediterranea. «Rispetto ad altre App che sono solo prodotti commerciali, il nostro segreto è nel database: i parametri utilizzati derivano dai nostri studi sulla dieta mediterranea, le banche dati internazionali e i livelli di riferimento nutrizionale per la popolazione italiana sana. Il semaforo della App è dinamico cioè cambia colore in relazione alla composizione dell’alimento, ai prodotti già acquistati in un intervallo di tempo impostabile (3-6 mesi) dal consumatore o dal suo nucleo familiare. Il sistema è in continuo aggiornamento».

Verso l’assistenza sanitaria 3.0

A porre il (giusto) freno alla velocità del mercato della mobile health, cannibalizzato dai facili guadagni economici, sono gli stessi medici, preoccupati che una positiva autogestione della salute si trasformi, presto o tardi, in autodiagnosi o autocure se strumenti imprecisi finiscono nelle mani dei pazienti. «Si teme che il paziente sfugga al controllo medico e alle visite di controllo», puntualizza Santoro. «In Italia c’è anche un’arretratezza culturale: la tecnologia digitale è ancora vista come un ostacolo e non strumento per semplificare la pratica medica». Il punto critico, però, resta la mancanza di regolamentazione ufficiale. «Nessun medico prescriverebbe un farmaco non testato o approvato. Lo stesso avviene con le App».

Cinzia Pozzi

(da Ok Salute e Benessere – gennaio 2014)

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