La serie tv Antonia, disponibile su Prime Video dal 4 marzo, racconta le sfide personali dell’omonima protagonista, ideata e interpretata da Chiara Martegiani. L’attrice condivide con il suo personaggio la medesima diagnosi di endometriosi che fa da filo conduttore alla trama. La sceneggiatura, oltre che dalla stessa Martegiani, è scritta da Elisa Casseri e Carlotta Corradi.
Questa dramedy informa e sensibilizza gli spettatori su una patologia che, per quanto diffusa, è ancora poco diagnosticata e conosciuta. La serie, diretta da Chiara Malta, è prodotta da Fidelio e Groenlandia, società del Gruppo Banijay, in collaborazione con Prime Video e Rai Fiction.
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Antonia: una serie “dramedy” che rompe i tabù sulla malattia
Antonia è, prima di tutto, una giovane donna che vive una crisi personale, tra le difficoltà e le incertezze dei trent’anni. Il giorno del suo trentatreesimo compleanno vive una serie di cambiamenti radicali: lascia il suo compagno Manfredi, interpretato da Valerio Mastandrea, che è anche il partner di Chiara Martegiani e supervisore creativo della serie. Poi, dopo aver perso il lavoro nella soap opera in cui lavora come attrice, sviene scendendo da un autobus e viene portata in ospedale. È proprio in questa occasione che scopre di avere l’endometriosi.
Dalla diagnosi alla ricerca di terapie efficaci, Antonia affronta diversi momenti di riflessione su questa malattia cronica. Inoltre, tramite la psicoterapia e una serie di personaggi che la accompagneranno durante il percorso, la protagonista svilupperà una nuova comprensione di sé stessa. Nella narrazione non mancano episodi di ironia e leggerezza senza, però, trattare mai l’argomento in modo superficiale. Attraverso una donna autentica in cui è facile identificarsi, non si raccontano solo i sintomi fisici dell’endometriosi, ma anche le sue ripercussioni sociali ed emotive, nonché il silenzio e gli stereotipi che la circondano.
La minimizzazione del dolore femminile e la diagnosi tardiva
Un momento cruciale della storia si verifica quando il ginecologo sminuisce il dolore di Antonia, dicendole che le donne sono destinate a soffrire da sempre. «Vedrai che quando sentirai i dolori del parto questi ti sembreranno una passeggiata», aggiunge, anziché indicarle che potrebbe essere il segnale di un problema di salute.
La mentalità sbagliata che normalizza il fatto di provare un dolore così intenso e debilitante durante le mestruazioni, può portare le donne che soffrono di endometriosi (in Italia sono circa il 10-15% in età riproduttiva) a sopportare la sofferenza per anni, senza ricevere aiuto o cure. Infatti, spesso la diagnosi arriva dopo un iter lungo e costoso con implicazioni sul proprio benessere fisico e psicologico.
Un altro aspetto della malattia affrontato da Antonia è quello della dispareunia, cioè il dolore durante i rapporti sessuali, che può anche incidere sul desiderio sessuale e sull’immagine di sé. La serie mette in luce come la mancanza di riconoscimento e comprensione da parte degli altri, inclusi medici, colleghi, amici, partner e familiari, contribuisca a generare sentimenti di inadeguatezza, frustrazione e isolamento.
Antonia: il rapporto tra endometriosi e gravidanza
Antonia riceve il consiglio di avere un figlio per mettere in pausa l’endometriosi o, in alternativa, di optare per una menopausa farmacologica. Tale prospettiva alimenta i suoi dubbi su una decisione delicata e profondamente personale, condizionata dall’idea di poter migliorare la propria condizione medica.
Tuttavia, non vi è alcuna garanzia che la malattia non progredisca ulteriormente dopo il parto, nonostante alcune donne possano sperimentare un temporaneo alleviamento dei sintomi durante la gravidanza. Si stima anche che l’endometriosi sia causa di infertilità o difficoltà a concepire in circa il 30-40% dei casi. Per la prevenzione di complicazioni come questa, aumentando le possibilità di rimanere incinte, sono fondamentali una diagnosi precoce e l’accesso ai trattamenti adeguati.
La storia di Antonia evidenzia come una maggiore consapevolezza sull’endometriosi possa fare la differenza. È importante che le pazienti che ne sono affette ricevano un supporto empatico e le informazioni corrette dai professionisti della salute. Nessuna donna con questa patologia cronica dovrebbe mai sentirsi condannata al dolore, perché migliorare la qualità della vita è necessario e possibile.
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