Chi è bilingue non ha solo la fortuna di parlare due lingue diverse senza sforzi. Ma ha addirittura un cervello più efficiente e veloce nel prendere decisioni critiche e improvvise. Passo con il semaforo arancione o no? La risposta, che sia oui o nein, secondo uno studio dei ricercatori del San Raffaele di Milano, arriva prima.
La ricerca, in collaborazione con le Università di Hong Kong, Londra e Barcellona, è stata pubblicata sulla rivista Cerebral Cortex. E dimostra che chi è bilingue fin dall’infanzia ha le aree del cervello deputate alle decisioni da prendere in tempi brevi più sviluppate rispetto ai monolingue. Gli scienziati, guidati da Jubin Abutalebi, docente di neuropsicologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, hanno confrontato due gruppi: il primo bilingue tedesco-italiano) e proveniente dall’Alto Adige, il secondo monolingue della stessa età.
I due gruppi sono sottoposti a compiti cognitivi mentre i ricercatori misuravano le loro attività cerebrali con tecniche avanzate di neuroimaging (la voxel-based morphometry per misurare la densità della materia grigia del cervello e la risonanza magnetica funzionale per misurare l’attività cerebrale). Dimostrando che gli italo-tedeschi, spiega Abutalebi, «hanno più materia grigia nella corteccia del cingolo anteriore (struttura più importante nel monitorare le nostre azioni e decisioni). Abbiamo inoltre evidenziato che vi è una correlazione positiva tra la loro performance nel risolvere conflitti cognitivi e lo spessore della materia grigia del cingolo anteriore».
La ricerca ha evidenziato che i bilingui sono più efficienti nel prendere decisioni e, pur essendo più veloci, usano meno risorse del cervello. Come mai? L’ipotesi dei ricercatori è che i bilingui devono imparare fin dalla tenera età a tenere distinte due lingue, per evitare di mescolarle. Per farlo userebbero le stesse strutture neurali che sono impiegate, in generale, nel prendere rapide decisioni. Quindi, il bilingue, a differenza di chi parla una sola lingua, userebbe maggiormente queste aree sin dalla nascita, con due conseguenze: un maggiore sviluppo anatomico e, a parità di difficoltà del compito, una minore necessità di coinvolgerle rispetto al soggetto monolingue, anche per decisioni che non riguardano il linguaggio.
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