Mio figlio Valerio, o l’avvocato Mandicinelli, come si fa chiamare quando gioca, ha dodici anni. Da sei sta bene, la paura, l’ossigeno, le iniezioni non fanno più parte della sua vita. Grazie alla terapia genica messa a punto dall’Hsr – Tiget di Milano, le sue difese immunitarie sono normali.
Rotolarsi nell’erba, arrampicarsi sugli alberi e nascondersi tra le canne non rappresentano più minacce mortali e l’Ada Scid (una grave forma di immunodeficienza congenita) è un fantasma lontano. A dispetto dell’età, quella di questo bambino è una storia lunga. Che coinvolge un’intera, numerosa, famiglia. Io e mio marito Pino siamo attorniati da un’allegra combriccola, in costante movimento. Oltre a Valerio, ci sono Jennifer, Claudio e Romolo, rispettivamente dieci, sei e cinque anni. E non solo.
Nella famiglia Gambino c’è un altro pilastro. Un capobranco in miniatura: la zia Francesca, sorella di Pino, anni quindici, fiera del suo aspetto da adolescenza con il rimmel nella tasca dei jeans. Grazie al suo intervento il piccolo abbassa un po’ lo schermo della sua timidezza.
Dei giorni passati in ospedale, delle terapie e del dramma che ha attraversato non ha particolari ricordi traumatici. Per noi genitori non è la stessa cosa. Noi non dimentichiamo niente. Raccontare non è facile. Siamo miracolati; grazie alla ricerca, alla terapia genica che ha salvato Valerio. Ora siamo più sereni; ma è stato un viaggio lungo.
A pochi giorni dalla nascita, ci siamo accorti che il piccolo non sta bene. Ci precipitiamo al Bambino Gesù di Roma, in cerca di risposte, rassicurazioni, speranze. Polmonite, broncopolmonite, problemi ai reni, al fegato, citomegalovirus; il quadro medico è difficile da capire, difficilissimo da sopportare.
Passano i mesi e arriva la diagnosi: Ada scid. La malattia dei bambini costretti a vivere in una bolla asettica. Le speranze sono poche, non si sa se, e quando, finirà il dolore. I mesi diventano anni. Durissimi. Fatti di cure dolorose e tutt’altro che a buon mercato. I medici delegano le possibilità di salvezza ad un trapianto con un familiare. Nasce Jennifer, ma non è compatibile.
Mentre io soffro in silenzio, Pino fa l’impossibile per stare vicino a me e ai bambini facendo i conti con il lavoro ed i soldi da portare a casa, si prospetta una nuova speranza. All’Hsr-Tiget – l’Istituto Telethon per la terapia genica di Milano – hanno messo a punto un protocollo che potrebbe salvare Valerio.
Quando la famiglia ci trasferiamo in Lombardia il bimbo ha cinque anni. Lo staff dell’Istituto, dalla professoressa Maria Grazia Roncarolo al professor Alessandro Aiuti, fino a tutti gli infermieri, fanno l’impossibile per farci sentire a casa. Tutto va per il meglio; i controlli danno buon esito, l’Ada Scid fa molta meno paura.
Quattro anni dopo, il peso del passato è ancora lì. Quando ripenso a quei momenti rivivo tutte quelle brutte sensazioni. È stato come attraversare un tunnel. Stai al buio e non vedi la fine. L’unica cosa che puoi fare è guardare avanti. Una mamma deve essere forte per tutti. Le medicine, i viaggi, la permanenza in un’altra città costano e non sempre si incontra la comprensione della gente.
I soldi non bastano mai, cerchi di lavorare di più, di trovare altre soluzioni e, invece, finisci per perdere il lavoro perché devi accompagnare la famiglia all’ospedale. Combattere contro un nemico più forte ti fa impazzire. La malattia è armata, tu non hai niente. Cerchi di non pensarci ma ti fai sempre la stessa domanda: Valerio ce la farà? Non dormi più e quando lo fai ti sembra, di avere sempre un occhio aperto. È un peso enorme. L’unica cosa che posso dire è che non bisogna arrendersi. Mai.
Cinzia Gambino, mamma di Valerio
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