Carmela Birindelli, nata a Pisa 52 anni fa, ex operatrice in una comunità per anziani, racconta il calvario e i dolori che a dovuto sopportare dopo una banale caduta dal motorino.
«Una terribile caduta in motorino, così inizia il mio lungo calvario. È una storia che parte da lontano la mia. È il 1984 quando, per colpa di un maledetto sasso nascosto su un sentiero di campagna, cado a terra. Sto tornado a casa dopo aver terminato il mio turno di lavoro presso la casa di riposo in un paesino collinare in provincia di Firenze.
Poi quella caduta, un dolore atroce a entrambe le ginocchia. Il trasferimento immediato presso l’ospedale più vicino e la diagnosi: rottura di entrambe le ginocchia! Vengo operata quindi a menisco, rotula e legamenti. Mi vengono inserite anche le protesi, perché possa camminare. Ma non avrei mai pensato che tutto ciò fosse solo l’inizio dell’anticamera dell’inferno.
A causa delle protesi, mi viene un’infezione che mi procura dolori insopportabili. Così vengo nuovamente operata due anni dopo. È il 1986, e ancora nulla da fare: la situazione non si risolve. Continuo ad avere febbri alte e dolori molto forti, con cui sono costretta a convivere. Nel 1990 subisco addirittura cinque interventi per un nuovo impianto di protesi bilaterali. Subito dopo segue il rigetto. E vi risparmio gli altri tentativi e i relativi insuccessi. Non ne posso più!
Nel frattempo la mia vita, come si può facilmente immaginare, è accompagnata da dolori atroci, insopportabili. Le gambe mi fanno sempre molto male, nonostante gli analgesici che mi vengono regolarmente prescritti dal medico. I farmaci per controllare il dolore sono sempre più forti, ma il male non se ne va. Mi reggo a fatica in piedi e solo per poco tempo. Poi devo sedermi o starmene a letto.
Passo le giornate confinata in casa. Le uscite sono per recarmi in pronto soccorso, quando la soglia di sopportazione del dolore viene ampiamente superata. La svolta arriva nel 1996. Vado in terapia antalgica all’ospedale di Pisa, dove mi viene impiantata sotto pelle una pompa (pompa antalgica) che mi inietta morfina direttamente nella spina dorsale. Da subito ho buoni risultati e a me sembra incredibile. Io, trasformata dal dolore in un’invalida che ha sempre bisogno dell’aiuto di qualcuno per tirarmi su da un letto, riesco a stare in piedi per un’ora di fila.
Via via va sempre meglio e, nel 2011, mi viene impiantata una pompa intratecale più moderna, che è elettronica anziché meccanica: oltre a iniettarmi morfina, permette la somministrazione di un nuovo farmaco, lo ziconotide. Curando il dolore, sono tornata a vivere in maniera autonoma. Riesco a camminare e a stare seduta in macchina. Di recente sono stata addirittura a un concerto, senza stancarmi e, soprattutto, senza dolori. Per me, è un miracolo».
Carmela Birindelli
(testimonianza raccolta da Paola Scaccabarozzi per OK Salute e benessere)
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