Sebastiano Scarpa lavora con il papà e il fratello nel negozio d’antiquariato di famiglia, a Venezia. Per anni è stato costretto ad allontanarsi dalla sua attività, bloccato in un letto per il dolore cronico, in seguito a un intervento chirurgico sbagliato alla schiena. Sono state necessarie altre 14 operazioni e una terapia antidolore all’avanguardia per ridonargli la vita: la neuromodulazione. Ecco il suo racconto.
«Vivo con due pacemaker, 32 elettrodi nella schiena e due metri e mezzo di fili che corrono lungo la mia colonna vertebrale. Credo di essere un caso unico al mondo, le mie radiografie lasciano a bocca aperta chiunque le guardi…
Come mai mi porto addosso tutto questo armamentario? Per cancellare il dolore cronico, continuo e tremendo, che mi ha distrutto la vita, giorno e notte, per otto anni, dopo un inter vento sbagliato. Solo grazie a quei fili e a quegli elettrodi, che hanno il nome di neuromodulazione sono riuscito a riacciuffare la mia esistenza, e i miei affetti, il lavoro. È stato come rinascere, quando ormai avevo quasi perso le speranze. Ma andiamo per ordine.
Anno 1998: fanatico di sport, ero un atleta di judo e gareggiavo nella maratona e nello sci di fondo, ma un’ernia al disco mi aveva messo ko. “Bisogna operare”, avevano detto i medici: discectomia. Ma a me non piaceva affatto l’ idea di interrompere l’ attività agonistica, così mi ero lasciato attrarre da due parole magiche, “stabilizzazione morbida”, pronunciate da un chirurgo di una clinica milanese, che suggeriva un intervento a suo dire innovativo e leggero: in pratica, la sostituzione del disco intervertebrale danneggiato con un ammortizzatore in metallo.
Ho detto sì, ma quell’operazione mi ha aperto le porte dell’inferno. Il chirurgo ha sbagliato tutto e due vertebre sono praticamente scomparse, creando una cavità nella colonna. Il midollo e i nervi spinali sono rimasti lesionati e io mi sono risvegliato con una semiparalisi e dolori fortissimi.
Sono stato operato altre 14 volte, per cercare di correggere i disastri di quel primo intervento. E solo nel 2005, al Policlinico di Borgo Roma, a Verona, il professor Pietro Bartolozzi è riuscito a raddrizzarmi la schiena, in senso letterale, con due aste di titanio avvitate alle vertebre, e mi ha fatto alzare dal letto. Già, prima ero costretto a rimanere sdraiato e immobile, come un vegetale, e mi nutrivano con una serie di cannucce, perché anche solo il minimo movimento della mano per afferrare un bicchiere mi causava sofferenze insopportabili alla schiena. Ero in piedi, ma il dolore stava sempre lì in agguato, spaventoso.
Mi hanno imbottito di farmaci, ma questi dolori, che i medici chiamano neuropatici, sono resistenti anche alla morfina, che ho usato a lungo, con risultati scarsi. Non volevo arrendermi, però, all’idea che la mia vita fosse finita a 44 anni. Perché non puoi vivere, trasmettere e ricevere affetto, parlare con i tuoi figli (io ne ho quattro), lavorare, se in ogni istante devi combattere con quel demonio che è il dolore forte e cronico.
Avevo letto su internet che in Italia alcuni ospedali (guarda: i centri per la neuromodulazione) stavano applicando la neuromodulazione, una tecnica che si avvale di elettrodi, innestati di fianco al midollo spinale, per ingannare il sistema nervoso, producendo deboli correnti elettriche che annullano, o almeno attenuano, gli impulsi del dolore. Mi sono rivolto a Giampaolo Pinato, dell’ Istituto oncologico veneto: il dolore si è ridotto, però i fili che collegavano fra loro gli elettrodi si spezzavano facilmente, dopo pochi mesi, e bisognava ricominciare tutto da capo.
“Devi andare a Denver da Giancarlo Barolat, il maestro in questo campo”, mi ha detto Pinato. Ho scoperto che Barolat (leggi il suo focus sulla neuromodulazione) era il capostipite di questo tipo di tecnica, con una grande esperienza alle spalle e un’attrezzatura all’avanguardia. È lui ad avermi inserito i due pacemaker e i 32 elettrodi montati su placche, sistemando i fili direttamente nel canale vertebrale, e non sotto la pelle, per evitare la loro rottura. Dopo qualche mese il dolore ha cominciato a ridursi, fino a scomparire quasi completamente. E la mia vita è tornata quella di dieci anni fa.
Ogni giorno lavoro nella galleria di antiquariato che gestisco con mio padre e mio fratello, vado a prendere i figli a scuola e addirittura riesco a portarli sulle spalle, quando facciamo le gite in montagna. E ho ricominciato con lo sport: guido i motoscafi offshore (ma Barolat non è affatto contento di questo, perché le sollecitazioni alla schiena sono molto forti) e detengo il primato italiano per la traversata Nord-Sud, da Venezia a Trapani. Ne sono orgoglioso, lasciatemelo dire».
Sebastiano Scarpa, 49 anni, Venezia
(testimonianza raccolta da Paolo Rossi Castelli per OK Salute e benessere)
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