Ecco come ha fatto a superare le sue paure e partecipare addirittura a gare di nuoto amatoriali. «Si può diventare nuotatori provetti a 30 anni suonati, quando i primi 29 della tua vita li hai trascorsi con i piedi ben saldi sulla terraferma e il terrore dell’acqua? A me è capitato. Ho imparato a nuotare da adulto, impresa già di per sé difficile: quasi impossibile visti i miei trascorsi.
La prima esperienza traumatica in piscina è a 11 anni, quando la scuola mi costringe a frequentare un anno di scuola nuoto. Nonostante i braccioli, il salvagente, le tavolette e l’istruttrice che mi tiene per un braccio, non riesco proprio a rilassarmi e ad allontanare da me la malevola paura di affogare. Quando mi trovo nell’acqua alta ho la costante sensazione di dover cadere sul fondo, così reagisco irrigidendomi e agitandomi con tutte le mie forze, con il risultato che bevo, bevo, bevo… In un anno di corso imparo poco e mi spavento parecchio, sviluppando un considerevole odio nei confronti della piscina.
Pratica nuoto archiviata definitivamente? Non proprio. Nel 2000, a 27 anni, sono impiegato in una casa editrice milanese e il lavoro sedentario ha modificato il mio corpo: un metro e 70 di altezza, 72 chili di peso. A una visita di controllo il medico mi fa la domanda più temuta: “Ma lei fa un po’ di attività fisica?”. La mia risposta: “Mah, guardi… Ho smesso. Sa, tra una cosa e l’altra il tempo non c’è mai… Poi ho anche una punta d’ernia inguinale bilaterale, quindi non posso nemmeno fare palestra…”.
Ormai la piega è presa, la mia vita sta per cambiare. Il medico infatti torna alla carica: “Ma perché non fa un po’ di nuoto?”. La parola nuoto, nelle mie orecchie, si trasforma immediatamente in un’istruzione operativa da eseguire alla lettera. Senza indugiare mi attivo per cercare un corso in cui iscrivermi, dimenticandomi di saper a malapena galleggiare e, soprattutto, di odiare con tutto me stesso la piscina!
Il mio primo giorno di lezione da adulto è un disastro. Già nel quarto d’ora di riscaldamento a bordo vasca mi sembra di esaurire tutte le energie a mia disposizione. Quando viene il momento di provare due vasche prendo fiato e coraggio, poi pian pianino, sforzandomi di ricordare proprio tutto quello che so fare (cioè poco e niente), comincio a nuotare. Faccio qualche bracciata a stile libero tenendo la testa sotto l’acqua, poi la alzo frontalmente per respirare una volta, due volte, quindi la mantengo fuori, perché il debito di ossigeno diventa insopportabile.
Ancora qualche bracciata in questo modo, quindi decido di passare alla nuotata che mi riesce un po’ meglio delle altre, cioè quella a cagnolino. Mi accorgo di essere solo a metà della prima vasca e di aver dato fondo a tutte le mie risorse: fiato, energie e stili di nuoto conosciuti. Ma quando credo di non avere altro da mostrare, mi ricordo del dorso, così mi metto pancia all’aria, cominciando a respirare acqua dal naso, con conseguenti attacchi di panico.
Nelle lezioni successive il copione non cambia. Ciò che più mi ferisce è constatare che il mio impegno, i miei sforzi e in generale la mia tenacia di lottare fino alla fine non vengano minimamente ricompensati, anzi vengono corrisposti da un sguardo sempre più incredulo e sconfortato da parte dell’istruttrice.
È chiaro come il sole che ai suoi occhi non faccio altro che accumulare una serie infinita di punti da sfigato. Lei è convinta di trovarsi davanti a un fenomeno quasi unico: un giovane di 27 anni, sfiancato e debole come un pensionato di 80, che non ha mai fatto sport in vita sua. Io, invece, sono convinto che riuscire a nuotare due vasche consecutive senza fermarsi un istante a rifiatare, sia fuori dalla portata di un comune essere umano.
Dopo un inizio così poco promettente, molti al mio posto avrebbero appeso costume e occhialini al chiodo. Ma un episodio mi ha dato la forza di andare avanti. Entro in un negozio di abbigliamento perché ho bisogno di un nuovo paio di pantaloni, cosa che faccio spesso perché i pantaloni continuano a diventare sempre più stretti e scomodi da portare. La vita sedentaria da lavoratore dipendente di questi ultimi tre anni mi ha regalato uno stipendio fisso e un accumulo di strato adiposo sul girovita che mi costringe a rinnovare di continuo il guardaroba.
La taglia è quella giusta, è una 48. Mi piego per fare un risvolto al pantalone, quando all’improvviso mi manca l’aria. Mi raddrizzo di scatto, apro il bottone di chiusura dei pantaloni e rilasso finalmente l’addome. Senza accorgermene sono andato in apnea pur di stare nel pantalone.
Mi guardo di profilo e noto, per la prima volta in vita mia, di avere un ventre molle e sporgente ben oltre la linea dei pettorali. Non c’è dubbio, ho proprio una bella pancia! Mentalmente rimango davanti a quello specchio per settimane, continuando a rivedere quell’immagine di me che, di profilo, cerca di allacciare un pantalone che non ne vuole sapere di contenermi.
Quando questo processo mentale finisce di torturarmi, avverto una strana sensazione. Succede una mattina, davanti allo specchio di casa mia. Mi osservo in viso attentamente, poi in modo naturale, mi guardo dritto negli occhi e con voce lenta e decisa mi dico: “Ora basta!”. Per me rispettare la regola “avere una pancia contenuta”, insieme a tante altre, come per esempio “non avere il fiatone dopo cinque gradini” o ancora “non ammalarsi di influenza più di una volta a stagione”, significa soddisfare uno dei valori cardine per la mia persona: la salute. Se mi sento in salute, allora sono felice, in caso contrario provo dolore.
Quando sono entrato nello stato d’animo di chi, accortosi di aver oltrepassato il limite di una propria regola, ha deciso di tornare indietro costi quel che costi, è un po’ come se mi fossi dotato di un’armatura potentissima, per resistere a qualsiasi altro tipo di dolore, come quello della fatica, del senso di incapacità o di inadeguatezza, del malessere fisico o della derisione dei bagnini.
Nulla mi avrebbe impedito di tornare indietro e riconquistare la mia salute: davanti a ogni sfida natatoria, a ogni difficoltà, a ogni sofferenza, mi bastava richiamare alla mente l’immagine riflessa nello specchio di quel negozio per ricordare un malessere che mai più avrei voluto riprovare in vita mia.
A quel punto la forza di volontà non mi ha più abbandonato: a metà anno, con l’aiuto di un istruttore qualificato, riesco a fare in mezz’ora 16 vasche, l’anno dopo arrivo a 36. Poi imparo il dorso, la rana, il delfino. Nuoto bene, e non solo nelle acque ferme delle piscine: mi avventuro al mare senza problemi. Ormai sono pronto per il master, il circuito di competizioni riservate ai non professionisti. Nel 2004 faccio la mia prima gara.
Oggi ne ho collezionate quasi 200, con due campionati italiani, uno europeo e un mondiale, disputato a giugno2012 a Riccione. Questi sono i numeri che a oggi caratterizzano la mia esperienza sportiva, un’esperienza che, oltre a rendermi particolarmente fiero di me stesso, ha avuto come effetto quello di cambiarmi nella mente, nel fisico e anche nello spirito, rendendomi più forte e più convinto di poter vincere le mie sfide. Qualsiasi esse siano».
Antonio Loglisci, 39 anni, milanese
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