La vita con la sarcoidosi polmonare, una malattia rara, è difficile, come racconta il lettore Salvatore Gargiulo, che ha dovuto abbandonare il suo lavoro di fotografo professionista (i suoi lavori in questo sito). Napoletano, 54 anni, abita ad Alba (Cuneo).
«Normalità, che bella parola! Un parola dal suono armonioso che si apprezza sempre di più quando, purtroppo, viene a mancare. Mi torna in mente quello che mi ha detto il medico che ha diagnosticato per primo il mio male: “Viva nella normalità”. Purtroppo si fa prima a dirlo che a farlo.
È normalità dover abbandonare il proprio lavoro di fotografo professionista per colpa di una malattia? Lo è aver dovuto convincere i medici che i dolori alle gambe che ho iniziato a provare nell’aprile del 2010 non erano semplici reumatismi? È normalità sentirsi dire al telefono dal medico del reparto, dopo innumerevoli esami, di stare tranquillo, perché “non si tratta del male del secolo, ma solo di sarcoidosi, una malattia di cui non si conosce la causa e la cura”?
Quanti alti e bassi in questi tre anni, quante volte ho vissuto la sensazione che il mondo mi stesse crollando addosso, quante volte ho provato dolore nel far pesare alla mia famiglia il mio malessere, i miei cambi di umore repentini, il mio nervosismo. Quante volte ho letto sul volto di mia moglie la preoccupazione e l’ansia dopo la diagnosi.
Ma forse quella diagnosi di sarcoidosi, anche se un po’ cruda e comunicata nel peggiore dei modi, ci ha dato la forza di reagire. Almeno sapevamo contro quale gigante stessimo lottando. Certo, non è molto, visto che la sarcoidosi è poco conosciuta della maggior parte dei medici. È una malattia infiammatoria che può colpire diversi organi, ma principalmente i polmoni, come nel mio caso, e le ghiandole linfatiche (dette linfonodi).
Cosa significa nella mia vita? Mi manca il respiro, anche fare qualche centinaio di metri a cammino lento mi dà grande stanchezza e dolori. Anche se la malattia è sotto controllo spesso ricompare quel male alle gambe che mi immobilizza a letto, quella febbre persistente che non mi fa mai essere al 100%. E poi le controindicazioni del cortisone, che aiuta ma non risolve: la sarcoidosi è una malattia orfana di farmaco, ovvero non è ancora stata trovata una cura.
Già, l’unica soluzione per mantenere la sarcoidosi sotto controllo è imbottirsi di cortisone. Adesso sono sceso a 5 milligrammi al giorno, una quantità che comporta stanchezza, gonfiore, irritabilità. Inoltre devo prendere alcuni farmaci per evitare problemi di osteoporosi, tenere a bada il colesterolo e controllare che non insorga il diabete.
Tutto questo sarebbe anche accettabile se le medicine mi permettesero di riprendere la mia vita di prima. Mi manca il mio lavoro, quella vena creativa che mi faceva alzare con il sorriso la mattina anche se davanti a me avevo una lunghissima giornata di lavoro. Non penso sia solo il cortisone a deprimermi, forse contribuisce il pensiero di non poter imbracciare la macchina fotografica.
Poi la svolta, merito di mia moglie, caparbia come possono essere le donne quando amano. Vedendo le difficoltà che avevamo nel reperire le informazioni o i contatti con i migliori professionisti necessari a curarmi, vivendo con me la solitudine di questa malattia, ha deciso di unirsi ad uno sparuto gruppo di amici per dar vita, tutti insieme, Amici contro la Sarcoidosi Italia. Una decisione figlia di un incontro fortuito in un momento molto difficile per lei: aveva appena perso sua madre e non aveva potuto andare nemmeno al funerale perché io mi trovavo in ospedale. Ecco una nuova sfida, una ragione per lottare e per sentirmi utile…
Potevo mettere la mia esperienza e la mia storia a disposizione degli altri e tutti insieme potevamo fare pressione perché le istituzioni prendessero in considerazione una malattia orfana di farmaco e una patologia non sempre riconosciuta come esente da ticket. Per esempio, in Piemonte c’è l’esenzione, mentre in altre Regioni no. Sono sicuro che un giorno le persone malate di sarcoidosi potranno vedersi riconosciuto il diritto all’invalidità e che ci saranno più ricercatori che si impegnano per trovare una cura. E questo un po’ grazie al contributo che stiamo dando».
Salvatore Gargiulo
(testimonianza raccolta da Simone Fanti)
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