Le monetine da due euro mi fanno ancora paura. Mi ricordano troppo quella sera del 2007 quando sono rimasta ipnotizzata davanti a una slot machine in un bar. Ci ho infilato due euro: erano le 17 e 30 e non sono riuscita a fermarmi fino alle 23.
La mattina dopo, all’ alba, ero di nuovo lì: pensavo che la slot fosse troppo gonfia di soldini e che sicuramente, se fossi arrivata per prima a tentare la sorte, lei si sarebbe svuotata. Non è stato così. In tre mesi ho bruciato più di 15mila euro. Molti cominciano come me, con l’ illusione di controllare l’ imprevedibile comportamento di quelle diaboliche macchinette. Con la certezza di potere smettere quando si vuole. Invece non riesci a toglierti dalla testa la frase ossessiva: «Questa sarà la volta buona».
Io ho toccato il fondo quando mi sono giocata la tredicesima in due giorni. Stavano per arrivare i miei figli con i nipotini a passare il Natale con me, come ogni anno da quando mia figlia si è trasferita a Pavia e mio figlio a Bari. Mi sono resa conto che con loro in casa non sarei stata libera di f lirtare con le macchinette. Preferivo giocare alle slot che a nascondino con i bambini, a questo ero arrivata.
Lì ho capito di essere malata. E finalmente ho accettato l’ aiuto delle mie colleghe, che da tempo mi trovavano strana. «Cosa ti sta succedendo, Carla?», mi chiedevano. Allora ho confidato tutto di quella follia che si era impossessata di me negli ultimi tempi. Le amiche mi hanno dato un numero di telefono di un centro convenzionato con la Regione dove cercare aiuto. La psicologa mi ha fissato un appuntamento: mi sono sentita «presa in carico», come dicono gli specialisti.
Già prima del colloquio ho affidato il bancomat alla mia amica più cara. «Con questo», le ho raccomandato, «mi accompagni a fare la spesa, ma a me in tasca non devi lasciare più di cinque euro». La dottoressa ha approvato i miei provvedimenti salva-soldi. Poi mi ha fatto raccontare la mia storia, per capire cosa aveva fatto scattare alla bella età di 60 anni l’attrazione fatale per le slot machine.
Fin da piccola vedevo mio padre giocare a carte al bar del paese, ma la posta in palio era al massimo un bicchiere di vino. Continuando la psicoterapia, ho capito che il mio problema era non avere conti in sospeso con i miei cari. Non parlo di conti economici, ma affettivi. Un esempio? Quella famosa sera in cui ho cominciato a giocare alle slot, avevo il cuore gonfio per il distacco di mio figlio che aveva sempre vissuto con me e si era trasferito in Puglia. Per carità, aveva già 33 anni. Ma non ero riuscita a dirgli in faccia: «Mi mancherai tantissimo». E poi mancavano pochi mesi alla pensione dal mio lavoro di bidella in una scuola, dove mi ero creata un gruppo di amiche che temevo di perdere.
Solo in seguito sono riuscita a buttare fuori le mie emozioni, invece di cercare di fare buttare fuori soldi alle macchinette. Ancora oggi, se raramente ho una ricaduta, capisco da sola la sua origine: non riuscire a esprimere i miei sentimenti. Due anni fa, per esempio, mia figlia ha affittato per due mesi una casa al mare e mi ha invitato a stare con lei. Ma a me non piace fare la nonna a tempo pieno. Riuscire a dire a mia figlia chiaro e tondo «due mesi lontano da casa non ci voglio stare» mi ha salvato. Ora ho saldato tutti i debiti che avevo contratto attingendo alla mia liquidazione: di 20mila euro ne ho salvati solo 5mila. Ma va bene così. Non ho più conti in sospeso con nessuno. Né riguardo ai soldi né riguardo al cuore.
Carla Bacca, 63 anni, Mezzocorona (Trento)
(testimonianza raccolta da Gilda Lyghounis)
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