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Colite ulcerosa: i miei mal di pancia tra una gravidanza e l’altra

Daria Ronsisvalle, 38 anni, vive a Brusaporto (Bergamo) e lavora come infermiera presso la Clinica Castelli di Bergamo. Sposata con Daniele, ha avuto tre figli nonostante un’insidiosa malattia cronica, la colite ulcerosa. Ecco il suo racconto per OK.Ohi ohi che mal di pancia... tra una pausa e l’altra delle mie tre gravidanze. La storia della mia malattia inizia nel 2003 quando comincio ad accusare i primi sintomi. Facevo, e faccio, l’infermiera, un lavoro che mi mette a contatto con diverse malattie e che mi fa accumulare tanto stress. Sulle prime ho dato la colpa ai farmaci che prendevo per l’artrite reumatoide, poi allo stress che il mio mestiere porta con sé, ma il perdurare dei problemi ha fatto suonare il campanello d’allarme. I mal di pancia si facevano sempre più frequenti e avevo sempre più bisogno del bagno.

Daria Ronsisvalle, 38 anni, vive a Brusaporto (Bergamo) e lavora come infermiera presso la Clinica Castelli di Bergamo. Sposata con Daniele, ha avuto tre figli nonostante un’insidiosa malattia cronica, la colite ulcerosa. Ecco il suo racconto per OK.

Ohi ohi che mal di pancia… tra una pausa e l’altra delle mie tre gravidanze. La storia della mia malattia inizia nel 2003 quando comincio ad accusare i primi sintomi. Facevo, e faccio, l’infermiera, un lavoro che mi mette a contatto con diverse malattie e che mi fa accumulare tanto stress. Sulle prime ho dato la colpa ai farmaci che prendevo per l’artrite reumatoide, poi allo stress che il mio mestiere porta con sé, ma il perdurare dei problemi ha fatto suonare il campanello d’allarme. I mal di pancia si facevano sempre più frequenti e avevo sempre più bisogno del bagno.
Ho deciso di andare dal medico che mi ha prescritto solo calmanti per lo stress. Poi di testa mia mi reco dal gastroenterologo che, sentiti i miei sintomi, mi ha prescrive una colonscopia. Esame invasivo e fastidioso, ma almeno ha avuto la diagnosi concreta, retto-colite ulcerosa, ovvero una infiammazione cronica dell’intestino. La terapia di fondo è la Mesalazina assunta sia per bocca e sia per via rettale; a questa nelle fasi acute si aggiungono gli steroidi che agiscono più rapidamente ma che, se presi ad alti dosaggi e per lungo tempo, hanno effetti collaterali abbastanza evidenti: da un lato l’aumento di peso e dall’altro disturbi dell’umore. Appunto non bastava la malattia che per la sua stessa natura intima ti mette a disagio con gli altri e in cattiva luce con i colleghi, che, ignari della malattia, non capiscono le frequenti sparizioni dal reparto, a peggiorare le cose pure i farmaci che mi rendevano sempre più cupa.

Gruppo San Donato

A modificare tutto il quadro fortunatamente c’è l’arrivo del mio primo figlio Gabriele (nato ad aprile 2005). Dovete sapere che durante la gravidanza, se non è nella fase acuta, la colite spesso resta “tranquilla”. Passano altri tre anni sereni e nel febbraio 2008 nasce anche Rachele, ma questa volta nel luglio di quell’anno comincio a peggiorare: con oltre 30 scariche al giorno devo sospendere di allattare la piccola che ha poco più di 5 mesi e iniziare una cura di steroidi per via intramuscolare. Niente non miglioro così il gastroenterologo decide di passare al Remicade, un farmaco biologico che viene iniettato con una flebo che dura cinque ore.

Il calvario non sembra aver fine, non miglioro e così a maggio del 2009 il mio gastroenterologo decide di provare l’Humira, un altro farmaco biologico più usato per il Morbo di Crohn, ma nonostante ciò a luglio mi ricovera per il persistere della malattia nuovo ciclo di steroidi questa volta in vena e… Oddio: io in ospedale e due bimbi piccoli a casa; ma stringo i denti e mi riprendo bene! Finalmente riprendo in mano la mia vita e il mio umore, ma comincio a vedere poco. Mi reco dall’oculista e il responso è: «Hai la cataratta in entrambi gli occhi causata dall’uso di steroide per un lungo periodo!» Io ho 34 anni e non ho alternative, mi sottopongo all’intervento di cataratta bilaterale e il mio umore torna a traballare. Non è stato un periodo facile né per me né per i miei familiari ma il mio gastroenterologo, Amedeo Indriolo, responsabile del centro di riferimento degli Ospedali Riuniti di Bergamo, mi è sempre stato vicino con la sua professionalità e soprattutto umanità e questo è davvero importante… tanti i momenti di crisi, tanti i momenti in cui vorresti urlare la tua rabbia in faccia a chi ti guarda e non sa come aiutarti.

Se molto devo ai miei familiari, soprattutto a mio marito, che hanno resistito alle difficoltà, tanto devo anche al gruppo di auto-aiuto della mia città dell’associazioni A.M.I.C.I. (Associazione malattie infiammatorie croniche intestinali). A loro devo l’aver imparato a non vergognarmi della mia malattia, a loro devo l’aver trovato il coraggio di essermi aperta con i colleghi e di aver loro spiegato il mio problema: oggi non mi guardano più come quella che fugge dal reparto, ma come una collega che ha qualche momento di difficoltà. Oggi, dopo l’arrivo dell’ultima nata Matilde (venuta al mondo a fine aprile) sto un po’ meglio. Magari durerà poco ma oggi sono un po’ più serena, tutta la mia famiglia si stringe attorno a me… tanto che mia figlia spesso mi ricorda «Mamma hai preso le medicine?»
Daria Ronsisvalle, 38 anni, Brusaporto (Bergamo)

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