Ci si sente sempre stanche e sofferenti all’altezza di pancia e bacino. Durante il periodo mestruale, poi, la situazione precipita. Il dolore a livello intestinale e pelvico si fa insopportabile. È difficile persino riuscire ad alzarsi dal letto, figurarsi andare al lavoro o svolgere attività casalinghe. Così capita di sentirsi anche dare della sfaticata, di finire emarginate nella propria occupazione se non addirittura di perderla. Peccato che questa indisposizione non sia una scusa, ma una patologia sociale invalidante: l’endometriosi.
Stando ai dati diffusi dal Ministero della Salute, in Italia le donne con una diagnosi conclamata di endometriosi sono almeno 3 milioni. Questa patologia interessa il 10-15% delle donne in età riproduttiva e circa il 30-50% delle donne infertili o che hanno difficolta a concepire. Sempre secondo quanto rivelato dal Ministero, le stime per i prossimi anni sono in costante e progressiva crescita.
In questo articolo
Cos’è l’endometriosi?
«Nonostante il nome, l’endometriosi non è un problema dell’endometrio, cioè del tessuto che riveste l’utero, ma riguarda ovaie, tube di Falloppio o addome. In queste sedi si forma un tessuto endometriale ectopico, ovvero situato in una sede diversa da quella normale, che reagisce alle sollecitazioni ormonali, esattamente come se fosse nell’utero, con il risultato di provocare un’infiammazione cronica a livello intestinale e pelvico, particolarmente acuta in occasione del ciclo mestruale» spiega Daniela Galliano, direttrice della sede di Roma dell’Istituto Valenciano di Infertilità (IVI).
Quali sono le cause?
Sulle cause vi sono diverse teorie, ma nessuna conclusiva. «La più nota», riassume la ginecologa, «è quella del flusso mestruale retrogrado, secondo cui il ciclo mestruale del sangue, invece di dirigersi verso l’esterno del corpo, va verso l’interno, cioè la pancia, creando i focolai di tessuto ectopico. Vi è, poi, l’ipotesi di una predisposizione genetica, ma gli studi che al momento ritengo più interessanti sono quelli sulle basi immunologiche, vale a dire sui motivi per cui il sistema immunitario di chi ne soffre non è in grado di rimuovere le cellule endometriali fuori posto».
Si scopre l’endometriosi mediamente dopo 7 anni dai primi sintomi
Un nemico subdolo, l’endometriosi, in quanto la prima sfida da vincere è la sua identificazione in tempi rapidi. «Spesso», conferma Daniela Galliano, «per arrivare a una diagnosi precisa occorrono diversi anni, da studi osservazionali si stima una media di 7-8». Questo perché, interviene Marta Giuliani, socia fondatrice della Società Italiana di Sessuologia e Psicologia (SISP), «da una parte, non tutti i professionisti che operano nell’ambito della salute psicofisica conoscono bene la patologia e, dall’altra, esiste ancora una visione culturale piena di pregiudizi legata alle mestruazioni».
Quando una ragazza dice di provare forti dolori, ha molte volte una risposta negativa da familiari o insegnanti, e spesso queste persone sono anch’esse donne. L’ambiente che circonda la giovane può, infatti, mettere in atto tre tipologie di atteggiamento. La colpevolizzazione («Prenditi maggiore cura di te, se facessi più sport staresti meglio»); l’etichettamento («Sei debole, ansiosa, ipocondriaca»); l’ipergeneralizzazione («Tutte le donne soffrono, nessuna è mai morta di dolori mestruali, siamo abituate, non succede niente»).
Persiste una visione culturale piena di pregiudizi verso il ciclo
Come reazione, la diretta interessata può assumere nel tempo un atteggiamento ambivalente nei confronti del dolore che prova. Può nasconderlo dopo aver sviluppato un sentimento di vergogna, negarlo, reprimerlo o mortificarlo.
Tanto che, nel momento in cui il medico diagnostica l’endometriosi, capita spesso che la donna abbia «una prima e paradossale reazione di sollievo, in quanto finalmente il suo dolore ottiene un riconoscimento. Più dura è la diatriba tra dolore percepito, espresso e negato, maggiore è il rischio di sviluppare tutta una serie di ricadute sul piano psicologico: sentimenti di ansia, paura o tristezza, senso d’impotenza, di fallimento o di solitudine, distacco dal gruppo dei pari e atteggiamenti di esclusione dalle prime relazioni, con graduale allontanamento dalle prime scoperte affettive e sessuali, fino ad arrivare a disturbi acuti da stress e del sonno».
Come si diagnostica l’endometriosi?
La prima regola è, perciò, quella che impone, in presenza di dolore e stanchezza cronici, di farsi subito visitare dal ginecologo. «Normalmente», prosegue Daniela Galliano, «per la diagnosi sono sufficienti l’anamnesi e un’ecografia pelvica, che permette di individuare eventuali cisti endometriosiche, anche se a volte si può ricorrere alla risonanza magnetica». Dopo la diagnosi, la paziente dovrà prendere consapevolezza di aver a che fare con l’endometriosi per il resto della vita, perché a oggi non esiste una cura definitiva.
Come si cura l’endometriosi?
Farmaci progestinici
La terapia preferibile, sostiene Galliano, nel caso in cui la donna non voglia al momento avere figli, è quella con farmaci progestinici. Questi sono capaci di inibire l’ovulazione. Tuttavia, se assunti con continuità per lungo tempo, possono dare effetti collaterali. Inoltre, quando si smette di prenderli, ritorna il dolore.
A tal proposito vanno sfatati due falsi miti: «A differenza di quanto capita di sentire, né la gravidanza né l’assunzione della pillola contraccettiva sono risolutive. I nove mesi dell’attesa, infatti, mettono solo a riposo l’endometriosi, con i dolori che si ripresenteranno dopo il parto. Stesso discorso per la pillola, che allevia la sintomatologia soltanto finché la si prende».
Trattamenti chirurgici
La soluzione più radicale contro l’endometriosi resta quella chirurgica, con l’asportazione delle cisti in laparoscopia. Si tratta dell’inserimento nell’addome, in anestesia generale, di uno strumento a fibre ottiche (laparoscopio). Un intervento che, tuttavia, non garantisce che le cisti non possano in seguito riformarsi e che viene considerato come ultima opzione soprattutto dai ginecologi che si occupano di fertilità.
«Togliendo una cisti nelle ovaie, si leva anche tessuto ovarico sano, nel quale, quindi, non potranno più crescere follicoli. In pratica, se già di per sé questa malattia è associata alla formazione di embrioni di qualità più bassa, con la soluzione chirurgica si aggiungerà anche un problema di quantità», commenta Galliano.
Per questo motivo molte pazienti con endometriosi dovranno ricorrere alla crioconservazione degli ovociti e, in seguito, a trattamenti di procreazione assistita.
Nei casi di endometriosi profonda, si può optare per diversi trattamenti chirurgici che consistono nella resezione delle lesioni dell’endometrio nelle sue varie localizzazioni, sempre mediante laparoscopia.
Agopuntura e QiGong
In chiave analgesica danno, inoltre, buoni risultati alcune metodiche proprie della medicina tradizionale cinese (Mtc), come l’agopuntura e la ginnastica energetica.
«L’agopuntura, agendo sui punti del corpo più indicati, interviene per ridurre i sintomi dell’endometriosi, come, per esempio, il dolore», spiega Emilio Minelli, vicepresidente del Centro Studi So Wen e vicepresidente della Società Italiana Agopuntura (SIA). «Ma può anche calmare le reazioni del sistema nervoso e regolare la produzione di ormoni e, sembra, anche le secrezioni estro-progestiniche».
Gli esercizi del QiGong, invece, spiega l’istruttrice qualificata, nonché psichiatra e psicoanalista, Paola Dall’Ora, «portano a stati di rilassamento molto profondi, che alzano la soglia di percezione del dolore. Si tratta, infatti, di una pratica che armonizza il rapporto tra i sistemi nervoso e immunitario, oltre a usare la mente per trasformare il corpo introducendo energia e immagini di salute».
L’alimentazione giusta contro l’infiammazione da endometriosi
A ridurre l’infiammazione contribuisce anche un corretto stile di vita, a partire dall’alimentazione. La Fondazione Italiana Endometriosi (endometriosi.it) suggerisce una «combinazione di cibi antinfiammatori, disintossicanti e liberi di ormoni». Si intende:
- Aumento di fibre sino al 20-30% delle calorie totali (verdure, cereali integrali, legumi, frutta, semi oleosi).
- Aumento di acidi grassi omega-3 (pesce azzurro, salmone e tonno, olio di oliva, frutta secca, avocado, semi).
- Riduzione di carne rossa, latticini e glutine (meglio assumerlo da farine integrali e grezze).
- Da evitare alimenti industriali, alcol, caffeina, prodotti caseari di origine animale di allevamento non controllato, prodotti contenenti soia (salsa di soia, tofu, seitan, edamame).
- Niente farine bianche e prodotti da forno raffinati, grassi saturi, zucchero bianco, dolci altamente zuccherini.
- No ad avena e segale, per il loro alto contenuto di estrogeni.
- Possono essere utili integratori che contengano vitamina D, omega-3, omega-6, curcuma, quercetina, partenio, nicotinamide e metifolato di calcio.
Endometriosi e infertilità
«L’Organizzazione Mondiale della Sanità considera l’infertilità una patologia e la definisce come l’assenza di concepimento dopo circa 12-24 mesi di regolari rapporti sessuali mirati non protetti», continua la dottoressa Galliano. «L’endometriosi è proprio una delle cause più note di infertilità».
Fondamentalmente l’endometriosi provoca infertilità per tre meccanismi differenti:
- può alterare l’impianto dell’embrione nell’endometrio, che è la parte dell’utero in cui gli embrioni devono impiantarsi e crescere;
- può provocare un’alterazione o delle ostruzioni della tuba di Falloppio, impedendone in questo modo il corretto funzionamento;
- le pazienti con endometriosi soffrono di alterazioni sia della qualità sia della quantità degli ovuli.
Un aiuto arriva dalla fecondazione assistita
Rimanere incinta resta, comunque, possibile con la fecondazione assistita, a partire da quella «in vitro (omologa), con possibilità di successo maggiori quanto più bassa è l’età dell’aspirante mamma. Se questo trattamento non riesce, la terapia definitiva è l’eterologa, con una donazione di ovociti» continua la specialista.
Crioconservazione degli ovociti
«Il trend a cui stiamo assistendo in questi ultimi anni è quello di iniziare a cercare una gravidanza sempre più tardi; avere l’informazione che è possibile, ad esempio, crioconservare i propri ovociti, e farlo prima che la mattia si aggravi, permette alle donne con endometriosi di aumentare le proprie chances riproduttive», spiega Daniela Galliano.
«La tecnica più comune per la preservazione della fertilità è appunto la vitrificazione degli ovociti, chiamata comunemente egg freezing. Si tratta di una tecnica grazie alla quale oggi sempre più donne possono conservare i propri ovociti, congelandoli in pochi secondi a una temperatura di -196 °C, con la possibilità di mantenere inalterata la loro qualità con lo scorrere del tempo».
Come impatta l’endometriosi sulla vita della paziente?
Il migliore approccio terapeutico resta quello multidisciplinare, in cui al ginecologo si affianchi, per lavorare sull’accettazione della malattia, uno psicologo e nel quale si tenga conto che, precisa Marta Giuliani, «esistono tanti tipi di endometriosi quante sono le donne affette da tale patologia: quindi, un vissuto non sarà mai paragonabile a un altro». L’endometriosi può avere, in effetti, un forte impatto su almeno cinque diverse aree della vita della paziente, che illustra la specialista della SISP.
Conseguenze fisiche e psicologiche
- L’immagine di sé e il rapporto con il proprio corpo. Ciò viene vissuto come qualcosa di sbagliato e di malato, sul quale non si ha controllo e che è fonte di dolore. Così spesso lo si colpevolizza e se ne prendono le distanze, smettendo di curarlo.
- Il benessere psicologico in termini generali. Gli studi scientifici dimostrano che, per gli elevati livelli di stress subiti, le donne affette da endometriosi sono maggiormente a rischio di sviluppare disturbi psicosociali o dell’umore, dell’ansia o di adattamento, oltre a essere potenziali vittime di ritraumatizzazioni continue dovute al susseguirsi di ricoveri ospedalieri e operazioni.
Si ha meno voglia di fare l’amore
- Il funzionamento sessuale. Sia l’immagine compromessa che si ha del proprio corpo sia i sintomi della malattia – dalla dispareunia, cioè il dolore provato durante la penetrazione, a secchezza vaginale, vulvodinie, cistiti, sindromi della vescica dolorosa, fino a rari casi di vaginismo – portano a una diminuzione del desiderio e dell’eccitazione sessuale e a difficoltà nel provare l’orgasmo.
- La relazione di coppia. La donna non si sente capita e si ritrae dall’intimità. Il partner prova sentimenti d’inadeguatezza, con un reciproco graduale allontanamento, che può essere accentuato dalle difficoltà ad avere figli. Ma, nel caso la coppia sia capace di un supporto vicendevole, la relazione diventa un punto di forza per la paziente.
L’impatto è anche sulla vita lavorativa
- La vita sociale e lavorativa. Stanchezza cronica, visite mediche e ricoveri ospedalieri, da un lato, comportano frequenti assenze del lavoro e riduzione della produttività. Dall’altro, un progressivo isolamento da amici e conoscenti. Esattamente l’opposto di quanto serve alla paziente, per la quale, invece, conclude Marta Giuliani, «è importante non chiudersi, ma provare a condividere il proprio vissuto con il partner e gli amici e cercare anche un supporto psicologico da esperti, utile per supportare la donna in un graduale processo di accettazione della malattia e di gestione relazionale e personale dei sintomi a essa annessi».
L’endometriosi è nei LEA
Tre milioni di pazienti per appena 300mila esenzioni dal ticket sanitario. In Italia c’è ancora molto da fare nel contrasto all’endometriosi, a partire dall’intervento delle istituzioni. La patologia è, infatti, stata inserita nei Livelli essenziali di assistenza (LEA) solo dal 2017 ed esclusivamente per i casi moderati e gravi (III e IV stadio), quindi, di fatto, senza prendere in considerazione la prevenzione e lo stadio iniziale della malattia, in modo particolare, quando la donna è giovanissima.
«È un punto di partenza insufficiente», nota Monica Santagostini, presidente dell’Associazione Italiana Dolore Pelvico ed Endometriosi, «anche perché tali linee guida non sono frutto di un lavoro recente, non c’è stato alcun incontro tra le istituzioni, i medici esperti e le associazioni presenti sul territorio nazionale prima dell’approvazione dei nuovi LEA».
L’assistenza non è ancora adeguata
Si parla ancora di stadi di gravità quando la medicina guarda all’individualità della malattia, tanto che le nuove linee guida europee non le citano più. In effetti il testo della Promozione dell’uguaglianza di genere nella ricerca clinica e sulla salute mentale, approvato sempre nel 2017 dal Parlamento Europeo, fa riferimento a tutte le donne affette da endometriosi, invitando, tra l’altro, i vari Paesi a curarle «gratuitamente, anche in caso di cure e/o operazioni costose» e di concedere loro «uno speciale congedo di malattia dal lavoro durante i periodi più acuti» (articolo 51).
Le esenzioni non coprono ancora tutto il territorio italiano
Un ulteriore problema è dato dal fatto che, essendo l’attivazione dei LEA di competenza delle varie Regioni, le esenzioni non coprono ancora tutto il territorio italiano. Monica Santagostini indica come esempio da seguire la Lombardia. Questa, con decreto del 14 giugno 2018, ha approvato il documento per la “Definizione dei percorsi di presa in carico della persona affetta da endometriosi e caratteristiche organizzative della rete dei centri di riferimento”. L’Emilia Romagna, invece, il 3 dicembre 2019 ha deliberato l’attivazione dei Piani Terapeutici Diagnostico Assistenziali (PDTA) per l’endometriosi».