Prima le persone, poi le competenze, questo lo slogan con cui si apre il sito agenzialavorodisabili, un’agenzia di lavoro specifica per portatori di handicap. «A meno di un anno dal lancio online, abbiamo oltre 1.900 utenti da tutta Italia e 60 aziende circa che ci utilizzano per trovare candidati», racconta Daniele Regolo titolare dell’iniziativa.
Ma è proprio necessaria una società di collocamento per portatori di handicap o è una forma di autoghettizzazione? A rispondere alla domanda è tra le righe lo stesso Daniele che racconta come questa agenzia sia diventata nel tempo anche un «centro di ascolto. Ricevo, ogni giorno, tanta posta da parte di persone che trovano in me, per via del comune denominatore della disabilità – sono un non udente- , un interlocutore privilegiato al quale affidare confessioni, sfoghi, ma anche speranze» spiega Daniele.
Domanda: quali sono le difficoltà maggiori che incontra un disabile nel mondo del lavoro? Come ovviarli? Come si crea un canale tra aziende e disabili?
Risposta. Di canali tra aziende e disabili ce ne sono fin troppi, ma le statistiche sull’occupazione dei disabili non si schiodano dalle loro cifre impietose. Cosa non va, dunque? Che, a mio avviso, si insiste per un approccio esclusivamente economico al problema: l’azienda che assume può contare su sgravi fiscali. Credo sia necessario, invece, un approccio culturale: l’azienda assume un candidato disabile perché intende investire su di lui. Questo è l’aspetto più difficile da affrontare. Ecco perché le pur lodevoli iniziative in cui vengono organizzati incontri – anche di una certa importanza – per favorire la conoscenza tra i lavoratori disabili e le aziende sono gestiti in modo ancora paternalistico e i risultati difficilmente rispecchiano le attese.
D. Tanti canali tra aziende e disabili… qual è il valore aggiunto che dà un disabile? Perché in soldoni un’azienda dovrebbe prendere un disabile al posto di un abile?
R. Ecco il punto centrale a cui rispondo con una domanda: può essere l’agevolazione fiscale il punto cardine su cui impostare l’assunzione di un disabile? Nella realtà dei fatti, purtroppo, è così, mentre in una società un po’ migliore di questa (migliore significa: più accessibile), in cui il disabile può competere con il normodotato, l’agevolazione di cui gode l’azienda passa in secondo piano perché le agevolazioni prima o poi esauriscono il loro effetto, mentre la professionalità di un ottimo candidato disabile dura per sempre (anzi, se seguita tende ad aumentare). Nell’azienda che capisce questo segreto, il discorso dell’agevolazione fiscale viene ridimensionato, mentre la ricerca consapevole del miglior candidato possibile diventa il punto di partenza di una rinnovata idea del disabile. Il fatto che tantissimi disabili che già lavorano esprimono grande delusione per come sono considerati in ambito aziendale dopo l’assunzione, è l’ennesima riprova che un discorso esclusivamente economico ha vita breve.
D. Ma cosa deve fare un disabile per rendersi appetibile da una società?
R. Non raccontarsele più. Mettersi in discussione, osare, rompere gli schemi, iniziare a mettere in difficoltà quella società che noi rimproveriamo di essere insensibile. Viaggiare, conoscere, scavalcare barriere, spezzare barriere, spiazzare, esigere di essere un protagonista, non per mania di protagonismo fine a sé, ma semplicemente per tirare fuori da noi stessi tutte le potenzialità ancora inespresse.
D. Sembra semplice… a parole
R. Parlando di disabilità, mi viene in mente una parola che le è sorella: accessibilità. Tanto più la nostra società sarà accessibile, ad ogni livello, tanto più la disabilità si trasformerà in una condizione dell’esistenza che non pregiudica il raggiungimento dei nostri sogni e delle nostre ambizioni.
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