Nulla può uccidere l’economia come la mancanza di fiducia e l’incertezza. E’ vero l’argomento della mia riflessione esula del campo della disabilità, ma che volete farci alla fin fine sono e resto un giornalista nato nell’economia. Questi miei pensieri nascono dalla gita di ieri a San Bartolomeo (Andora) in Liguria e dalle chiacchierate fatte o sentite durante la passeggiata sul lungomare. Accanto alla brezzolina di mare, e a qualche secchiata d’acqua che il cielo gentilmente ha voluto donarci, soffiava un vento ben più forte: la crisi. Poche famiglie in giro, negozietti vuoti, ristorantini altrettanto deserti (ed era sabato sera!).
Beh conti alla mano è facile comprendere il perché: tra gasolio (con 60 euro ho fatto 600 chilometri), pranzo e cena – anche se frugali – e una granita siciliana, una coppia spende tra i 100 e i 150 euro. Con bambini al seguito il costo si alza, perché se un adulto può “privarsi” di un gelato o spiluccare a mezzogiorno, a un bambino non si dice mai di no. Così si resta a casa risparmiando per pagare i nuovi aumenti dell’iva e la stangata dell’imu, la tassa più odiata dagli italiani dopo il canone Rai.
Dall’economia domestica a quella reale il passo è breve. Così è facile immaginare perché un imprenditore attenda a fare investimenti. Se chi, in famiglia, deve far quadrare i conti guarda i suoi jeans e pensa che anche se sono passati un po’ di moda possono andar bene per un’altra stagione, perché non dovrebbe fare lo stesso pensiero un imprenditore guardando i macchinari che utilizza? Pian piano l’economia però si ferma.
Abbiamo per troppo tempo coltivato un’economia fatta di consumi attivando di fatto una spirale da cui non si poteva scendere pena il collasso dell’intero sistema. E così sembra stia succedendo oggi. Ma accanto a questo punto debole ce n’è un altro, quasi connaturato con il primo, che ha il nome di fiducia. Per oltre 50 anni siamo andati avanti con la convinzione e la fiducia che il progresso non potesse avere fine (il modello americano docet) che si potesse consumare all’infinito senza pagare dazio. Invece. Invece stiamo imparando che non è così. Una dura lezione che ci ruba quotidianamente la fiducia nel futuro.
Ad aggravare il senso di sfiducia poi l’incertezza delle regole. Due esempi su tutti: i famosi esondati e l’aumento dell’iva di settembre. I primi sono quelle persone – e sottolineo persone – che confidando nelle regole di qualche mese fa hanno lasciato il loro lavoro nella certezza, poi sembra vanificata, che avrebbero ricevuto una pensione. Le regole però nel frattempo sono cambiate e quelle persone, padri e madri di famiglia non sanno più cosa sarà di loro e come potranno mantenersi nei prossimi mesi e anni.
Dalle persone alle cose, o meglio la balletto dell’iva che si dice, forse, chissà dovrebbe passare dal 21 al 23% a settembre. Il condizionale è d’obbligo perché politici e tecnici continuano nella loro quadriglia facendo un passo in una direzione per poi tornare al posto di prima. Un ballo che non diverte nessuno e che non permette a chi vorrebbe far ripartire gli affari di fare progetti. Quale buon padre di famiglia si permetterebbe una spesa non sapendo se a settembre poi dovrà sborsare più soldi? Forse quindi tra le tante riforme a costo zero che si potrebbero attuare ce n’è non più prorogabile: la certezza delle regole!