Capire le diversità per valorizzare la disabilità. Quello che sembra uno slogan vuoto in realtà nasconde una filosofia di un’azienda abituata ad affrontare le differenze. L’Oreal, multinazionale di cosmesi francese, ha da anni iniziato un percorso per arricchire la propria cultura aziendale grazie al “diverso”.
E questo lavorio continuo e questa attenzione traspaiono dalle parole di Cristina Scialino, responsabile delle risorse umane di L’Oreal Italia che ho voluto intervistare. Ne è nata una chiacchierata che vorrebbe offrire qualche consiglio a chi, pur con difficoltà fisiche o psichiche, vuole mettersi alla prova nel mondo del lavoro. E perché no realizzarsi.
«Valorizzare la disabilità per le aziende significa aprire una porta al business», spiega Scialino. «Spesso si sente dire che la diversità è un costo per le aziende, e invece può diventare un punto di forza. L’Oréal ha una grande attenzione nel considerare la diversità come una ricchezza: per cominciare abbiamo ideato programmi specifici di integrazione per le diversità di genere, etnica, sociale/culturale, legate all’età, alla nazione di provenienza e alla disabilità». Ognuna di queste situazioni richiede di calibrare la professione e il luogo di lavoro con risultati sorprendenti.
Domanda. Come si fa ad integrare un disabile in azienda?
Risposta. Per permettere l’ingresso delle persone portatrici di handicap ci sono due vie: scegliere il lavoro giusto per la persona oppure trovare la persona giusta per un lavoro confezionandoglielo addosso, quasi fosse un abito di sartoria. Con i giusti escamotage tutti possono svolgere alcune mansioni, con soddisfazione del dipendente e dell’azienda. Gli stessi portatori di handicap vogliono essere messi in condizione di lavorare al pari delle persone normodotate: senza vantaggi, solo i giusti accorgimenti per compiere il loro lavoro adeguatamente.
D. Tanti portatori di handicap rinunciano – dopo aver inoltrato migliaia di curricula – a cercar lavoro. Perché domanda e offerta non s’incontrano?
R. Penso che uno dei problemi sia legato al livello di scolarità. Oggi la crisi globale ci obbliga a selezionare professionalità elevate. Le aziende, soprattutto in momenti di crisi come questa, cercano sempre più laureati, e i dati ci dicono che le persone appartenenti alle categorie protette che possiedono questo titolo di studio sono solo il 2,5%. Inoltre, le aziende hanno ormai esternalizzato molti dei servizi, penso per esempio ai call center, in cui si inserivano tipicamente i disabili in passato.
D. Quindi il primo consiglio è quello di proseguire negli studi?
R: Sì, in generale è un consiglio valido per tutti. Ma soprattutto per i disabili che devono fare uno sforzo in più. Devono essere le stesse famiglie a spingere affinché queste persone arrivino a laurearsi quando la disabilità che hanno lo permette, naturalmente. Il mondo della scuola sta rendendo accessibili le strutture e le sta dotando dei giusti ausili. E’ il caso ad esempio dell’università di Parma dove stanno studiano molti studenti con varie disabilità. E’ un’occasione da non sprecare.
Laddove il grado di disabilità risulta non compatibile con l’impegno che richiede l’istruzione universitaria, con l’aiuto di famiglie e servizi sono oggi comunque accessibili percorsi alternativi per la creazione di competenze utili al mondo del lavoro, ad esempio la conoscenza di un applicativo informatico utilizzato anche nelle aziende.
D. E poi?
R. Ci vuole sincerità. Da un lato la disabilità non va strumentalizzata e dall’altro bisogna – superando un pudore legittimo – essere capaci di comunicare i propri limiti e le proprie esigenze. Solo così le aziende e i responsabili del personale possono capire e gestire le situazioni. Testare i propri limiti e conoscerli è un punto di svolta per entrambi, il dipendente e l’azienda.
D. Una volta entrati?
R. Bisogna non nascondersi per far capire agli altri quanto si vale e quali possono essere le difficoltà. Capita che chi lavora accanto al disabile non sappia come comportarsi e quasi sia intimorito non dalla disabilità ma dalla non conoscenza del mondo dei disabili e del quadro clinico derivante da una particolare disabilità. L’invito è quello di essere tolleranti da entrambe le parti, venirsi incontro cercando di spiegarsi. Quando questa chiarezza c’è i risultati non tardano ad arrivare.