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Parkinson: il rischio si dimezza con un farmaco per l’asma

Se confermata, questa scoperta potrebbe portare ad una nuova generazione di farmaci più mirati

Un farmaco comunemente usato contro l’asma, il salbutamolo, potrebbe dimezzare il rischio di ammalarsi di Parkinson: lo hanno scoperto i ricercatori dell’Università di Harvard in collaborazione con l’università norvegese di Bergen, analizzando oltre 100 milioni di prescrizioni fatte nel Paese scandinavo nell’arco di 11 anni. Se ulteriori dati dovessero confermare la scoperta, pubblicata su Science, allora potrebbe aprirsi un nuovo capitolo nella lotta al Parkinson, con lo sviluppo di una nuova generazione di farmaci più mirati ed efficaci.

L’idea

Continui tremori, debolezza di braccia e gambe, rallentamento dei movimenti: tutti i sintomi del Parkinson sono legati all’accumulo nel cervello di una proteina chiamata alfa-sinucleina, che si aggrega e deposita in certi neuroni deputati al movimento portandoli alla morte. Gran parte delle ricerche fatte in passato ha puntato a cercare farmaci che potessero prevenirne l’aggregazione o favorirne l’eliminazione. I ricercatori di Harvard, invece, hanno provato un approccio diverso: «volevamo trovare un farmaco che potesse ridurre direttamente la produzione di alfa-sinucleina», spiega il neurologo Clemens Scherzer.

Gruppo San Donato

I primi test in laboratorio

Il suo gruppo di ricerca ha così testato oltre 1.100 farmaci e integratori di uso comune su neuroni umani coltivati in provetta e su modelli animali, identificandone tre in particolare che erano capaci di ridurre la produzione di alfa-sinucleina: tutti agivano sul beta-2-adrenorecettore, un recettore cellulare che scatena effetti come il rilassamento delle vie respiratorie. Tra loro c’era anche il famoso salbutamolo, un farmaco broncodilatatore comunemente usato negli inalatori di moltissimi pazienti asmatici per controllare la fame d’aria.

Lo studio delle prescrizioni

Considerata la diffusione del salbutamolo, i ricercatori hanno pensato di verificare se questo farmaco agisse da scudo anti-Parkinson anche fuori dal laboratorio, nel mondo reale. Hanno quindi preso in esame 100 milioni di prescrizioni di farmaci fatte in Norvegia dal 2004 ad oggi cercando di evidenziare eventuali legami con la malattia neurodegenerativa.

Salbutamolo “scudo” anti-Parkinson

I dati raccolti indicano che solo lo 0,04% dei pazienti curati col salbutamolo viene colpito dal Parkinson, contro lo 0,1% dei pazienti che non lo hanno mai usato. Rielaborati i numeri tenendo conto di vari fattori di rischio come l’età e l’educazione, è emerso che i norvegesi che avevano usato salbutamolo almeno una volta nella vita avevano un rischio di ammalarsi di Parkinson che era ridotto di un terzo.

Effetto dose-dipendente

La protezione offerta dal salbutamolo sembra essere dipendente dal dosaggio del farmaco: i norvegesi che avevano assunto le dosi più elevate, avevano un rischio dimezzato di sviluppare la malattia nei sette anni successivi rispetto agli altri pazienti che non assumevano salbutamolo. Il farmaco preso a basse dosi, invece, ha comportato una riduzione del rischio quasi impercettibile.

Le ricerca continua

Il meccanismo d’azione del salbutamolo è ancora tutto da chiarire, ma i ricercatori sospettano che sia in grado di penetrare nei neuroni del cervello, alterando la conformazione del Dna in modo da diminuire l’attività del gene dell’alfa-sinucleina. Prima di accendere false speranze nei pazienti, però, serviranno ulteriori studi: se i risultati fin qui ottenuti saranno confermati, «potrebbe essere l’inizio di una nuova strategia terapeutica per questa malattia così grave», concludono i ricercatori.

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