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Come si scopre l’Alzheimer?

La demenza di Alzheimer esordisce quasi sempre in modo subdolo. L'osservazione di alcuni sintomi può allarmare parenti e amici, ma poi serve una diagnosi. Ecco gli esami e i test che individuano la patologia

Ci vuole la pazienza di un monaco tibetano, per scoprire se si è davvero ammalati di Alzheimer. Dal momento in cui si riferiscono i sintomi a un dottore, possono passare anche 6-12 mesi prima che si completino tutte le visite e gli esami necessari ad avere una risposta certa. Nonostante i progressi della tecnologia e della ricerca scientifica, fare una diagnosi di Alzheimer è ancora molto difficile. Specialmente quando l’età è avanzata e il quadro clinico della persona si fa sempre più confuso.

La diagnosi viene fatta attraverso la raccolta di informazioni sulla storia del paziente, la visita medica e una serie di test neuropsicologici per individuare alterazioni delle funzioni cognitive (memoria, linguaggio, apprendimento, orientamento spazio-temporale, ecc). Alcune indagini strumentali (risonanza magnetica o  tomografia computerizzata) sono utili per escludere la presenza di altre patologie. Non esistono ancora  esami specifici per effettuare una diagnosi prima della comparsa dei sintomi.

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Come si scopre l’Alzheimer? I test neuropsicologici

Per cominciare, nell’approccio clinico a una persona anziana è sempre utile inserire una modalità di valutazione che permetta al medico di allertarsi nei confronti di un declino cognitivo. Esistono a tale proposito molti test di screening.

Uno dei più noti è il Mini-Mental State Examination (MMSE). È costituito da 30 domande che mettono alla prova l’orientamento spazio-temporale, la capacità di evocare ricordi, il linguaggio, l’attenzione e le abilità di calcolo. Il paziente deve dire la data del giorno e il luogo in cui si trova. Poi deve memorizzare e ripetere tre semplici parole (come “casa”, “pane” e “gatto”). Il test prosegue con una serie di prove come calcoli numerici, la sillabazione di parole al contrario, il riconoscimento di oggetti comuni (come la matita e l’orologio). E poi con il disegno di due pentagoni intrecciati. Il punteggio ottenuto consente di capire se c’è qualcosa che non va e che merita di essere approfondito. Bisogna però ricordare che si tratta solo di un test di screening, che non è sufficiente di per sé a diagnosticare una demenza.

Se il test MMSE presenta punteggi al limite della normalità o francamente patologici, il paziente deve essere indirizzato in un centro specialistico per eseguire ulteriori test neuropsicologici che valutano in modo più dettagliato le varie funzioni cognitive e l’impatto funzionale dei disturbi. Pensiamo, per esempio, ad una persona che non riesce a parlare bene, non ricorda i nomi o non comprende più il valore dei soldi. In questi casi dobbiamo valutare come la malattia condiziona la vita quotidiana e l’autonomia della persona, e se lo stress che ne deriva causa problemi psicologici quali ansia, agitazione, depressione, nel paziente così come nelle persone che si occupano di lui.

Come si scopre l’Alzheimer? Gli esami del sangue

In parallelo si possono eseguire degli esami del sangue per valutare i livelli di molecole preziose per il funzionamento del cervello. Ad esempio la vitamina B12 e l’acido folico. Poi per escludere che i disturbi cognitivi siano causati da patologie organiche vere e proprie, come l’ipotiroidismo, l’ipertiroidismo, l’anemia.

Come si scopre l’Alzheimer? Tac o risonanza magnetica

A questi esami si associano le indagini che permettono di studiare la struttura del cervello, come la tac oppure (per avere una risoluzione maggiore) la risonanza magnetica. Qui puoi leggere quale sia la differenza tra TAC e risonanza magnetica. Questi esami rappresentano una tappa obbligata. Consentono non solo di escludere la presenza di tumori cerebrali e di valutare la presenza di lesioni vascolari come ischemie ed emorragie, ma permettono anche di misurare i volumi del cervello e di identificare eventuali anomalie. Si possono osservare alterazioni della sostanza bianca dovute a “micro-infarti”, mentre l’ampliamento dei ventricoli, l’atrofia della corteccia cerebrale o una riduzione dell’altezza dell’ippocampo, fanno sospettare la presenza di una malattia di Alzheimer.

Come si scopre l’Alzheimer? La PET

Per avere un quadro più preciso del metabolismo del cervello è possibile ricorrere anche alla FDG-PET, cioè una particolare tipologia di tomografia a emissione di positroni. Cosa succede durante questo esame? Iniettando nel paziente uno zucchero radiomarcato, chiamato fluoro-desossiglucosio, possiamo vedere se viene usato in maniera omogenea dal tessuto cerebrale o se ci sono aree meno attive perché atrofiche. Generalmente, nelle fasi iniziali dell’Alzheimer, le troviamo a livello temporale, nel cingolato posteriore e nell’ippocampo.

La PET amiloide

In alternativa alla rachicentesi c’è poi la PET amiloide. In questo esame si usa come radiotracciante una sostanza che si lega alla proteina amiloide tipica dell’Alzheimer, permettendo di vedere dove tende ad accumularsi nel cervello.

Come si scopre l’Alzheimer? La puntura lombare

Quando la malattia è agli esordi, colpisce un paziente giovane oppure presenta un quadro confuso, che non permette di distinguere tra i vari tipi di demenza, allora è opportuno ricercare e dosare i biomarcatori tipici dell’Alzheimer. Cioè le proteine tau e beta-amiloide.

L’esame meno costoso e più utilizzato in questi casi è quello del liquor cerebrospinale, cioè il fluido che protegge il sistema nervoso centrale avvolgendo il cervello e il midollo spinale. Per prelevarne un campione si ricorre alla rachicentesi. È una puntura lombare, che in alcuni centri viene praticata in regime di ricovero, mentre in altri viene fatta in day-hospital. Dopo il prelievo, il paziente sta a riposo sul lettino per un paio di ore, in osservazione, e poi viene rimandato a casa. Sebbene l’esame sia un po’ invasivo e fastidioso, non comporta particolari complicanze. I casi d’infezione sono rarissimi, mentre può capitare di avere cefalea per un paio di giorni se non si rispetta l’indicazione al riposo.

La stimolazione magnetica transcranica

La demenza fronto-temporale, che si stima rappresenti dal 10 al 15% di tutti i casi di demenza, è la patologia che, nel momento della diagnosi, è più difficile distinguere dall’Alzheimer. Attualmente è possibile farlo solo con esami costosi come la Pet o invasivi come la puntura lombare, ma scienziati italiani dell’Università di Brescia hanno ideato un metodo più economico e meno invasivo per riconoscere le due patologie. Un test di stimolazione magnetica transcranica che registra la risposta cerebrale in seguito a una piccola e impercettibile stimolazione inviata dall’esterno con una sonda.

Nel cervello ci sono diversi tipi di neuroni che rilasciano messaggeri chimici (neurotrasmettitori): alcuni rilasciano glutammato, altri acetilcolina. Con la TMS è possibile vedere se queste diverse famiglie di neuroni funzionano bene e distinguere tra le due forme di demenza. L’Alzheimer, infatti, è legato a un deficit di rilascio di acetilcolina rilevabile con la TMS.

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