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Rischio incidenti
Come segnala il Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico del Cai, la maggioranza degli incidenti in montagna è legata all’escursionismo. Molte volte c’è lo zampino della superficialità e dell’incauta valutazione dei rischi. Proprio nella stagione estiva si concentra il maggior numero di interventi delle squadre di soccorso per aiutare gli appassionati delle gite in quota. Che, stando alle statistiche del Soccorso alpino, possono essere messi in difficoltà da cadute, scivolate, malori di vario genere, perdita dell’orientamento, maltempo…
«Non bisogna però demonizzare la montagna», spiega Guido Giardini, direttore della struttura complessa neurologia e stroke unit dell’Usl della Valle d’Aosta, dove dal 2007 è responsabile dell’ambulatorio di medicina e neurologia di montagna. «La montagna è meravigliosa, ma bisogna conoscerla e rispettarla. E bisogna sapere come il nostro corpo reagisce all’alta quota. Per prendere le dovute precauzioni».
Acclimatarsi all’altitudine
Raggiungere quote superiori ai 2.500 metri richiede uno sforzo all’organismo, che deve acclimatarsi alle nuove condizioni ambientali. All’aumentare dell’altitudine, infatti, diminuisce la pressione atmosferica e si riscontra una rarefazione dell’ossigeno, che porta al fenomeno noto come ipossia ipobarica. Aumentano quindi la frequenza cardiaca e quella respiratoria, la pressione arteriosa e polmonare, e aumenta il numero di globuli rossi che devono potenziare il trasposto di ossigeno nel sangue data la sua ridotta disponibilità. «I primi giorni del soggiorno in alta montagna possono essere i più critici, è consigliabile allora non fare sforzi eccessivi fino a quando non ci si è acclimatati», raccomanda Giardini. Dopo un po’ di tempo (da qualche giorno a una settimana, a seconda della quota, dell’età, dell’indice di massa corporea, di eventuali patologie e terapie farmacologiche in corso…), l’organismo si adatta alla quota in cui si trova. Allora via libera a camminate, pedalate e altre attività.
Il mal di montagna
In caso di più giorni trascorsi oltre i 2.500 metri, è possibile anche andare incontro al cosiddetto mal di montagna. «Insorge dopo qualche ora di permanenza in altitudine», puntualizza Annalisa Cogo, pneumologa esperta di medicina di alta quota e docente di malattie respiratorie all’Università di Ferrara. La vacanza, allora, può essere rovinata da mal di testa, eventualmente accompagnato da capogiri, nausea, vomito, insonnia, sensazione di spossatezza, fatica, mancanza di fiato, inappetenza.
Dormire un po’ più in basso
È opportuno salire di quota in modo graduale, e oltre i 2.500 metri dormire sempre a una quota inferiore rispetto a quella in cui si è trascorsa la giornata, senza superare un dislivello di 500 metri tra una notte e l’altra. Inoltre, si raccomanda di affrontare gradualmente percorsi e salite via via più impegnative per durata, dislivello e quota. In caso si manifestino sintomi, il consiglio è di riposare, idratarsi adeguatamente ed eventualmente di scendere di quota di almeno 500-1.000 metri.
Maggiore prudenza con i bambini
«Se si va in montagna con tutta la famiglia è opportuno però ricordare che non è consigliabile superare i 2.000 metri di quota con i neonati, e i 2.500 metri entro il primo anno di vita, soprattutto se si programma di trascorrere la notte», puntualizza Cogo. Aggiunge Giardini: «A quell’età il sistema nervoso centrale e i centri di controllo del respiro non sono ancora completamente maturi e i bambini sono quindi più sensibili alla rarefazione dell’ossigeno».
Chi soffre di cuore
ne parli con il medico
Il paziente cardiopatico amante dell’alta montagna non deve rinunciare per forza a una gita in vetta. Non può però fare a meno di valutare le proprie condizioni di salute e quali precauzioni adottare. Come indicato sulla rivista di cardiologia European Heart Journal dal team di ricercatori dell’Università Bicocca e dell’Auxologico San Luca di Milano, chi soffre di malattie cardiovascolari prima di avventurarsi in montagna deve infatti confrontarsi con il medico (e, se necessario, con lo specialista). Affronteranno da un lato gli aspetti ambientali come la velocità di salita, la quota da raggiungere e la temperatura. Dall’altro parleranno delle caratteristiche personali relative a condizioni fisiche, storia clinica, stabilità dei problemi cardiovascolari, terapie in corso ed esami diagnostici recenti.
Proteggere pelle e occhi
Escursione salendo fino a un ghiacciaio? «Attenzione a proteggere occhi e pelle dai raggi solari, perché in quota le radiazioni ultraviolette sono ancora più dannose, dato che l’atmosfera via via si assottiglia», avverte Giardini. Indispensabili occhiali da sole a specchio e a protezione integrale e creme solari con fattore di protezione molto alto (50+), oltre a cappelli e indumenti a maniche lunghe.
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