«L’anno scorso sono stato operato per un piccolo tumore al rene e ora sto bene». A raccontare la sua esperienza con il cancro è Roberto Vecchioni, uno tra i più prolifici e apprezzati cantautori italiani. Non è la prima volta che l’artista confessa un suo problema di salute (leggi la confessione a OK di quando ebbe un infarto), ma come sempre, quando parla, coglie l’occasione per riflettere e trarre dalla propria esperienza un insegnamento.
«Ho visto dieci professori tra l’Italia e l’estero e ho ricevuto dieci pareri in cui ognuno mi prospettava con freddezza un intervento diverso», spiega il cantante-professore. «E posso dire che il paziente ha bisogno anche di sensibilità, del lato umano del medico. Bisogna valorizzare la figura del medico di famiglia, quello di una volta, che sa tutto di te e dei tuoi parenti, che ha in mano le certelle di tutti, che non si chiude nella sua torre d’avorio ma vive sul campo, ti segue, si sbatte, va in giro».
Vecchioni ha scritto l’introduzione di C’era una volta il medico di famiglia, un libro scritto dai due medici di famiglia Maurizio Bruni e Francesco Carelli. «Ho questa concezione un po’ romantica di un professionista che sappia avere intuizioni, e le intuizioni sono artistiche», conclude il cantante. «Non dico che il medico deve essere innamorato del paziente ma non può lasciarlo ad operazione fatta, dargli una cura e poi andarsene. Il medico rimane ancora una figura che cura non solo il corpo, ma l’anima. E le due cose devono essere riportate insieme».
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