«Ho sempre desiderato avere delle labbra più carnose e penso che questo canone di bellezza mi sia stato veicolato dai social network. Ormai appartiene all’immaginario collettivo». Sara ha 27 anni, ma da quando ne ha 25 si sottopone periodicamente a punturine di acido ialuronico intorno alla bocca. Come lei tante (e tanti) altri giovani iniziano a dare sempre più peso alla loro immagine nelle foto su Instagram e altri social network. È così che nascono i ritocchi da selfie.
Ad accorgersene anche medici e chirurghi estetici, che hanno intuito un cambiamento quando i pazienti hanno iniziato a presentarsi in studio mostrando i loro autoscatti. Originali, per evidenziare il difetto da correggere, oppure “filtrati”, per spiegare come sarebbero voluti diventare. Prima era diverso. Quando la possibilità di modificare le foto era in mano a pochi (e perlopiù professionisti), le persone non portavano se stesse come modello, ma attrici, cantanti o personaggi famosi. Oggi, invece, metodi semplici e immediati per mutare la propria fisionomia sono a disposizione di tutti. Basta un filtro Instagram o un’app sullo smartphone per modificare i lineamenti del viso. Così i canoni di bellezza non sono più veicolati unicamente da modelle e celebrità, ma anche dal collega, dall’amica, dall’influencer, e il modo in cui ci vediamo – o vediamo gli altri – nelle foto sui social è diventato una nuova fonte di ispirazione al cambiamento.
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L’impegno di Instagram
A settembre 2019, Instagram ha annunciato che avrebbe vietato i filtri che permettono di modificare le foto intervenendo pesantemente sui tratti del viso con labbra carnose, nasi piccoli, zigomi alti. I più «invasivi» sono stati eliminati, ma basta una ricerca veloce nella galleria filtri per trovare quello che aggiunge lentiggini, elimina le imperfezioni dalla pelle, approfondisce o alza lo sguardo. E tanto basta.
Una percezione distorta
Sulla base di un questionario compilato dai suoi soci – cioè l’80% degli specialisti del nostro Paese – la Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica (Sicpre) nel 2015 ha stilato l’identikit del «paziente da selfie»: donna, di età compresa tra i 18 e 35 anni, a disagio con il proprio naso e le prime rughe. Ma in crescita, dicono gli esperti, sono anche gli uomini. «Il selfie dà la possibilità di osservarsi con più attenzione, di notare difetti che le foto più lontane nascondono», sottolinea Francesco D’Andrea, presidente della Sicpre. «Il punto, però, è che spesso sono difetti irrilevanti, messi in evidenza dalle modalità con cui si fa l’autoscatto. Cioè vicino al volto, con inquadratura frontale, spesso sotto una luce inadeguata».
La percezione del paziente si costruisce così su un elemento virtuale: non il suo naso in carne e ossa, ma il suo naso come viene in foto. Per questo, in base alle risposte dei soci Sicpre, risulta che il 78% delle persone che si rivolge a un chirurgo plastico per un’insoddisfazione da selfie non possiede un’immagine corporea equilibrata di sé.
In foto il naso aumenta
L’effetto di distorsione dell’autoscatto è stato confermato da uno studio pubblicato nel 2018 su JAMA Facial Plastic Surgery. Negli uomini i selfie aumenterebbero le dimensioni del naso del 30%, nelle donne del 29%. In modo simile, una ricerca della statunitense Rutgers University ha dimostrato che negli autoscatti la base del naso sembra del 30% più larga rispetto a una foto normale, e la punta del naso del 7% più ampia. Nonostante la distorsione non rifletta in modo realistico l’apparenza tridimensionale del naso, buona parte dei chirurghi riporta casi di persone che si affidano a procedure cosmetiche o estetiche per migliorare la loro resa negli autoscatti. Tendenza individuata nel 2017 anche da un’indagine dell’Annual American Academy of Facial Plastic and Reconstructive Surgery. Il 55% dei medici ha pazienti che richiedono interventi per diventare più belli nei selfie. Fino a due anni prima erano «solo» il 42%.
Sempre più giovani
«La domanda di trattamento nella fascia di età 18-35 è sempre più preponderante, ci si prende cura del proprio aspetto fin da giovani e giovanissimi, a volte anche per superare il “complesso selfie”», concorda Alberto Massirone, presidente di Agorà – Società scientifica italiana di medicina ad indirizzo estetico.
«In molti casi bisogna cercare di far ragionare il paziente. Uno dei metodi che utilizzo è quello di scattare una foto più obiettiva, quindi alla giusta distanza e con una buona luce. I casi ovviamente sono due. Il candidato al ritocco si ricrede e capisce che sta esagerando, oppure continua a vedere il difetto e lo vuole eliminare». Se a questo si aggiunge che l’atteggiamento dei pazienti nei confronti dei chirurghi e medici estetici non è quello che si ha normalmente con gli altri specialisti («Dottore, mi dica cos’ho e mi curi»), ma piuttosto quello che si ha con il commesso di un negozio («Voglio questo e con queste caratteristiche»), il quadro diventa più complicato.
È al naso la correzione più richiesta
Gli interventi al naso e alle palpebre sono quelli che vanno per la maggiore. Ma anche le iniezioni di filler e tossina botulinica sono molto richieste. Oltreoceano va di moda organizzare il «botox birthday party» per i 30 anni. Da noi il fenomeno è meno evidente, ma nel 2018 la Società internazionale di chirurgia plastica estetica ha registrato un aumento della richiesta di procedure non invasive del 10,4% rispetto all’anno precedente. In particolare le iniezioni con botulino sono cresciute del 17,4%, seguite dai filler con acido ialuronico (+11,6%).
«La tossina botulinica serve a distendere le microrughe perché paralizza il muscolo per cinque-sei mesi», continua Massirone. «È utilizzato soprattutto nella zona perioculare. Talvolta viene impiegato anche per far salire un po’ la punta del naso, ridurre la percezione della gobba o sollevare le sopracciglia per aprire lo sguardo. Il filler invece è un riempitivo, in genere si fa con acido ialuronico, ma anche caprolattone, collagene o acido polilattico. Un riempimento delle labbra si può ottenere già con una-due sedute, ma come per il botulino l’effetto si mantiene fino a sei mesi circa».
Il consulto psicologico è determinante
Quando il paziente è giovane, e i dati ci dicono che lo è sempre di più, si può intervenire senza problemi sulla sua pelle? «Non ci sono evidenti controindicazioni cliniche, anche perché la cute di un giovane adulto o di un adolescente risponde meglio di quella di un over 40 o 50 a un trattamento», sottolinea D’Andrea. «Tuttavia, va valutato attentamente se ci sia un effettivo bisogno di farlo». Il confine tra cosa sia necessario e non necessario, però, è difficile da tracciare, perché non si può prescindere dal punto di vista psicologico.
Per questo, racconta l’esperto, «mi è capitato più volte di consigliare a un paziente, soprattutto giovane, di parlarne prima con uno psicologo e poi tornare da me. Realisticamente parlando, è improbabile che un under 30 abbia bisogno di un intervento o di un filler per motivi fisici. La maggior parte delle volte si tratta di una necessità psicologica estremizzata. Quindi sta a noi fare il nostro mestiere, che è anche dire “no” oppure cercare di far ragionare il paziente». Lo conferma anche un articolo pubblicato su JAMA Facial Plastic Surgery nel 2018, che conclude dicendo che gli specialisti devono capire sempre di più le implicazioni che i nuovi media hanno sulla percezione corporea delle persone. Sia per intervenire nel modo migliore dopo le loro richieste, sia per dare loro i consigli più adatti.
Non facciamo discorsi millenaristici
Cinque anni fa uno studio pubblicato sull’International Journal of Eating Disorder ha evidenziato un dato. Le ragazze che manipolano di più le loro foto per pubblicarle sui social sviluppano preoccupazioni maggiori nei confronti del corpo. Sopravvalutandone forma e peso. «La percezione del proprio corpo è un argomento estremamente complesso. Insieme alla parola, è il mezzo comunicativo più potente che abbiamo», dice Gabriella Bottini, docente all’Università di Pavia e responsabile del Centro di neuropsicologia cognitiva dell’ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano.
In molti dibattiti sui social e sull’influenza che hanno sulla psicologia dei giovani si ipotizza che possano essere causa di dismorfismo corporeo. Stando alla definizione del DSM-5, l’ultima versione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders redatto dell’associazione americana di psichiatria, il disturbo da dismorfismo corporeo è caratterizzato dalla presenza di una preoccupazione rilevante ed eccessiva circa un difetto fisico spesso inesistente o ritenuto trascurabile dalla maggior parte delle persone. Secondo la neuropsicologa, però, si tratta di discorsi allarmistici e millenaristici.
La vita virtuale è sempre più reale
«Da sempre esiste la tendenza tra le vecchie generazioni a ritenere le nuove forme di comunicazione strumenti pericolosi e negativi per il futuro della società. Non possiamo dire in assoluto che la possibilità di vedersi in modo diverso attraverso un selfie o una foto modificati stimoli lo sviluppo di dismorfismo corporeo. Non credo che i sistemi neurali siano così permeabili. Certo è che può essere un fattore di rischio per persone che sono già fragili. E per chi ha una scarsa stima nei confronti della sua rappresentazione corporea».
Tutto ciò è enfatizzato dal fatto che, come le modifiche si possono ottenere velocemente sui social, altrettanto rapidamente si possono realizzare nella vita reale. Tutto grazie ai progressi della medicina e della chirurgia estetica. «È un elemento rilevante», conclude Bottini. «La possibilità di accedere a una modifica in modo semplice fa viaggiare il cervello. Che non si accontenta più del cambiamento virtuale, ma inizia a pianificarlo anche nella realtà».