I primi a intuirlo furono gli scienziati della Nasa, che già negli anni Settanta stavano cercando un modo per ridurre la presenza di inquinanti all’interno delle astronavi e delle stazioni spaziali. Iniziarono così a verificare la capacità di ficus e spatifillo di depurare un ambiente chiuso e, alla fine degli anni Ottanta, pubblicarono uno studio che confermava questa ipotesi: gli organismi vegetali sono «una soluzione promettente ed economica all’inquinamento domestico. Se l’uomo si sposterà in habitat chiusi, sulla Terra e nello Spazio, dovrà portare con sé un sistema naturale di supporto alla vita».
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Alcuni studi mettono in dubbio la capacità di assorbimento delle piante
Recentemente questa teoria è stata messa in discussione da un articolo pubblicato sull’autorevole rivista statunitense The Atlantic: la capacità di assorbimento delle piante sarebbe in realtà molto limitata e si dovrebbero inserire centinaia di esemplari in una stanza per ottenere dei risultati. A questo si aggiunge lo studio pubblicato due anni fa su Nature di Michael Waring, ingegnere della Drexel University di Philadelphia, che ha eseguito una metanalisi su quasi 200 pubblicazioni, mettendo in dubbio la capacità delle piante di influire sull’inquinamento indoor. Alcune specie sarebbero più efficaci di altre ma, alla fine, il loro effetto benefico non riuscirebbe ad avere la meglio sulle sostanze tossiche, in particolare sui temibili VOCs (dall’inglese Volatile Organic Compounds), cioè composti organici volatili, tra i quali benzene, ammoniaca, xilene, toluene, formaldeide. Sono rilasciati in buona parte da vernici, rivestimenti, prodotti per le pulizie, colle, pitture, ma anche materiale elettrico, elettronico e cablature, computer, televisori, telefoni.
Studi italiani confermano il potere depurativo della dracena
Nelson Marmiroli, professore di biotecnologie ambientali all’Università di Parma e direttore del Consorzio Interuniversitario Scienze Ambientali, è uno dei massimi esperti mondiali di fitotecnologie, cioè dell’uso delle piante e dei diversi processi biologici per ottenere benefici per l’uomo e l’ambiente. «L’Università di Parma negli ultimi decenni ha sviluppato numerose ricerche e sperimentazioni», spiega. «Esistono due modi per valutare la performance di una pianta nel ridurre l’inquinamento indoor: il metodo diretto e quello indiretto. Il primo mira a quantificare nei tessuti della pianta la concentrazione dell’inquinante assorbito, attraverso l’utilizzo del radioisotopo carbonio-14. Nel metodo indiretto, invece, si calcola la differenza di concentrazione dell’inquinante iniziale e finale nell’ambiente in un intervallo di tempo stabilito».
I test condotti dall’ateneo emiliano e guidati da Marmiroli «sul campo», cioè negli uffici e nelle aule scolastiche, prendono in considerazione molteplici fattori, come il volume di aria, il tempo di esposizione, la superficie fogliare, la biomassa vegetale, il volume della pianta ecc. È stato creato così un database, che permette di mettere a confronto le capacità di assorbimento di varie specie di piante rispetto ai diversi inquinanti, espressa in microgrammi per metro cubo in 24 ore. Per esempio, esperimenti effettuati con zero, tre o sei piante di dracena, varietà Janet Craig, alte un metro, con vasi del diametro di 30 centimetri in uffici di 12 metri quadrati e con soffitti di tre-quattro metri, hanno dimostrato una netta riduzione dei VOCs, già con sole tre piante.
Le piante utilizzano fogliame e radici per assorbire e trasformare le sostanze inquinanti
D’altra parte l’uso delle piante per combattere i gas tossici non deve stupire. «Le piante posseggono un sistema per l’assorbimento, lo stoccaggio e la trasformazione di queste sostanze, similmente a quello che accade nel fegato degli animali, e che per questo viene definito “green liver”, fegato verde», chiarisce Marmiroli. «Gli agenti inquinanti, processati dalle piante, subiscono dei cambiamenti: alcuni vengono praticamente consumati, come l’anidride carbonica, altri trasformati e resi meno pericolosi o meno disponibili per gli altri organismi viventi».
Tutto questo avviene sia attraverso il fogliame sia tramite le radici. Le foglie sono infatti dotate di piccoli pori (stomi) che servono per la respirazione: quando la pianta apre gli stomi per incamerare ossigeno, assorbe anche le particelle inquinanti. A seguire le immagazzina nelle pareti delle cellule o nei tricomi, formazioni microscopiche che si distribuiscono sulle foglie proprio per accumulare le sostanze tossiche. Le radici, invece, interagiscono con i microrganismi del suolo, presenti anche dentro un piccolo vaso, e attraverso questi possono distruggere i VOCs.
Ma quali piante mettere in casa e in ufficio per purificare l’aria?
Ma quali sono le piante più utili a contrastare l’inquinamento indoor? Secondo le ricerche, alcune delle specie più apprezzate (e presenti in ogni vivaio) manifestano particolari capacità, tra cui anturium, dracena, tronchetto della felicità, sansevieria, pothos, spatifillo. Queste catturano diverse sostanze organiche, ma anche il particolato che deriva dalle combustioni dei fornelli della cucina a gas. «Va considerato, però, che molti degli inquinanti dell’aria si
depositano sulle foglie mescolandosi con le cere presenti sulle stesse, per questo è consigliabile un lavaggio periodico del fogliame con sapone naturale», puntualizza Marmiroli. «A volte i ricercatori si accontentano di rilevare di quanto è stata purificata l’aria, senza indagare su dove siano finite le sostanze tossiche».
Ecco perché tutti dovremmo creare un angolo verde sul posto di lavoro
Secondo i calcoli degli studiosi, lo spatifillo, in una camera di circa 12 metri quadrati, sottrae settimanalmente 41 milligrammi di benzene o 16 di formaldeide. Una quota rilevante, tenendo conto che, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, il valore soglia per la formaldeide, un gas presente pressoché ovunque, è di 0,1 milligrammi per metro cubo, oltre il quale questa sostanza diventa anche percettibile all’olfatto. Ma la formaldeide è solo uno dei tanti inquinanti presenti in abitazioni e luoghi di lavoro.
Nel 1991, il Ministero dell’Ambiente italiano ha definito l’inquinamento indoor come «la presenza nell’aria degli ambienti confinati di contaminanti fisici, chimici e biologici non presenti naturalmente nell’aria esterna di sistemi ecologici di elevata qualità». E nello stesso anno l’agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente definiva per la prima volta la Sick Building Syndrome (SBS), ovvero la sindrome dell’edificio malato, una serie di disturbi collegati alla pessima qualità dell’aria interna di alcuni edifici. Studi più moderni hanno dimostrato che la SBS può causare mal di testa, affaticamento, difficoltà di concentrazione, irritabilità, disturbi respiratori simili all’asma, prurito e infiammazione a occhi, naso e gola, manifestazioni cutanee. Oltre a potenziali danni a livello cellulare e del Dna. Basterebbe questo per non farsi mancare le piante in ogni ambiente in cui si vive. Senza contare che rilasciano ossigeno, umidificano l’aria e, stando ad alcune recenti ricerche, aumentano anche concentrazione e produttività. Motivo in più per creare un angolo green anche sul posto di lavoro.
Piante in camera da letto: sì o no?
Tutti abbiamo sentito dire che le piante non si tengono nelle stanze in cui si dorme perché «rubano» l’ossigeno. In realtà, dal punto di vista scientifico, è una teoria che non regge, un mito da sfatare. Se è vero che durante la notte le piante assorbono ossigeno e rilasciano anidride carbonica, è altrettanto assodato che durante le ore di luce, grazie alla fotosintesi, tutte producono grandi quantità di ossigeno e il bilancio è sicuramente a vantaggio di quest’ultimo. Inoltre, la produzione di anidride carbonica provocata dalla respirazione delle piante è davvero minima: sicuramente inferiore a quella prodotta da un animale domestico (o dal proprio partner…). Esistono in ogni caso specie originarie di climi torridi e aridi che chiudono gli stomi di giorno per evitare la perdita di acqua e li aprono di notte. Durante le ore notturne, dunque, assorbono l’anidride carbonica dall’ambiente e rilasciano ossigeno. Sono principalmente le crassulacee (piante succulente), le cactacee e le orchidee.
Le 15 specie che ripuliscono le stanze
- Felce di Boston: efficace per assorbire l’inquinamento da formaldeide.
- Dracena: questa pianta assorbe il benzene e il toluene.
- Clorofito: purifica l’aria da formaldeide e monossido di carbonio.
- Edera: depura l’ambente da tricloroetilene e benzene.
- Pothos: utile per la depurazione da formaldeide e fumo di sigaretta.
- Croton: elimina dall’aria formaldeide e monossido di carbonio.
- Spatifillo: agisce contro tricloroetilene, formaldeide e benzene.
- Aloe: indicata contro l’inquinamento da tricloroetilene.
- Sansevieria: oltre a diverse sostanze tossiche, contrasta le radiazioni elettromagnetiche.
- Monstera: ha dimostrato di assorbire formaldeide e benzene.
- Dieffenbachia: funziona contro l’inquinamento da xilene e toluene.
- Anthurium: riesce ad assorbire ammoniaca, benzene e formaldeide.
- Ficus benjamin: attivo contro formaldeide, benzene e fumo di sigaretta.
- Stella di Natale: cattura il benzene presente nell’aria.
- Calancola: è in grado di ridurre diversi fattori inquinanti e di assorbire le onde elettromagnetiche.