Un nuovo approccio alla corsa per riscoprire la funzionalità del piede. Inizialmente desta curiosità e così molti tra coloro che amano correre finiscono per provare il natural running. E una parte si converte a questa nuova modalità di corsa. In occasione dell’evento torinese «A piedi nudi nel parco» abbiamo incontrato Sergio Benzio, allenatore professionista e personal trainer, maratoneta, maestro di sci e di nordic walking, ma soprattutto appassionato sostenitore dell’approccio naturale al running.
Qual è la differenza tra natural running, o corsa naturale, e il barefoot?
La prima è una tecnica di corsa che ha come obiettivo di riportare il piede alla sua naturale funzionalità, riportando la corsa alla sua biomeccanica originale. A questo scopo si utilizzano calzature che permettono un contatto più diretto con il suolo e che lasciano più libertà di movimento al piede che in questo modo viene “rieducato” a lavorare correttamente.
Il barefoot è la corsa senza scarpe, a piedi nudi, quella che per intenderci si praticava ovunque non molti anni fa e che ancora si pratica in alcuni paesi del mondo. Questo tipo di tecnica è intrapresa da pochi eletti, praticata da gruppi di runners soprattutto negli Stati Uniti. È certamente il modo di correre più naturale, ma oggi non abbiamo più il piede adatto, nel senso di pelle, per correre a piedi nudi.
La corsa naturale è anche una “filosofia sportiva” che ricerca nuovi obiettivi rispetto a quella tradizionale. In che cosa si differenzia?
Prima di tutto nell’utilizzo delle calzature minimal, che hanno una suola più sottile e piatta e restituiscono un maggior contatto con il terreno. Le scarpe da corsa tradizionali sono state pensate per proteggere il piede dalle asperità del terreno, sono state dotate di suole e solette, di ammortizzatori, ma così facendo abbiamo costretto e racchiuso il piede che è stato snaturato impedendogli di muoversi liberamente. La biomeccanica del piede è stata “infastidita” dalla scarpa. Per me il natural running si può riassumere con questa frase: tornare indietro per andare avanti.
Però anche se la scarpa è “minimal” è pur sempre una scarpa. Esiste un valido compromesso?
Sì ed è rappresentato dalla libertà di movimento delle dita. Le uniche calzature che premettono di avere le dita dei piedi libere sono le Fivefingers. Io le utilizzo da ormai sette anni, durante le maratone e nei trail. Avendo le dita libere e allargate cambia l’appoggio del piede, si impiega nuovamente l’arco plantare che riacquista piano piano la sua naturale funzionalità. I muscoli vengono sollecitati e utilizzati influenzando postura e appoggio. Si diventa più stabili ed eretti. È insomma una scarpa da “training” del piede.
Bisogna ricordare, però, che non si possono utilizzare da un giorno all’altro senza il dovuto adattamento, con un approccio graduale che consenta al piede e alle strutture adiacenti di adattarsi, di ritrovare la loro antica funzione. Per correre con questo tipo di calzatura ci vuole gradualità, corsette alternate a camminate, l’ideale sarebbe sull’erba ma anche in palestra si possono cominciare a utilizzare con la supervisione di un professionista.
Le performance sportive migliorano?
Questo è un discorso soggettivo, individuale. Il beneficio riguarda soprattutto la prevenzione dei danni muscolo tendinei, delle talloniti, con un piede più forte ed efficiente si può avere un aumento di efficienza che si estende al gesto atletico e perciò può incidere positivamente sulla prestazione. Riconosco che in alcune situazioni, soprattutto in ambiente off-road, necessitino di adattamenti particolari rispetto alle scarpe tradizionali. Personalmente mi sento più in equilibrio e come atleta non tornerò più indietro, a prescindere dalle prestazioni.