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Moran Atias: «Ho avuto la meningite due volte»

L'attrice e modella israeliana racconta di aver avuto, a distanza di pochi anni l'una dall'altra, sia la meningite virale sia quella batterica

Il corpo rovente. Come se fossi avvolta dalle fiamme. Ma, dentro, una sensazione di freddo invincibile. Una situazione talmente assurda che mi spaventava fino a farmi pensare di morire. È il ricordo indelebile che ho della meningite, una malattia che ha segnato la mia vita e quella della mia famiglia.

Mia mamma aveva già capito tutto

Avevo 14 anni, ero con delle amiche in un parco israeliano, ad Haifa, la mia città. Ho cominciato a sentirmi male. La testa pulsava, la temperatura saliva. Arrivata a casa ho iniziato anche a vomitare. Mia madre Yael ha subito intuito cosa stesse succedendo. Mio fratello maggiore aveva avuto la meningite due anni prima e i sintomi erano gli stessi. Così, quando è arrivata l’ambulanza e mi ha portato a sirene spiegate in ospedale, mia mamma continuava a ripetere ai medici: «Aiutateci, e fate in fretta! Credo sia meningite».

Gruppo San Donato

Ore interminabili in ospedale

Mi hanno subito prelevato un po’ di liquido cefalo-rachidiano dalla spina dorsale, inserendo un ago fra una vertebra e l’altra. E lì sono andati a cercare le tracce dei microrganismi che avevano infettato le mie meningi, le membrane che avvolgono il cervello. È passato un tempo interminabile, o almeno così a me è sembrato, prima che arrivasse una diagnosi precisa. E intanto il mio corpo era sconvolto da febbri altissime e dal dolore alla testa, fino alla perdita di coscienza, a tratti. Poi, finalmente, il verdetto: meningite virale, per fortuna la forma meno grave, così mi hanno spiegato i medici, rispetto a quelle provocate dai batteri. Di quei giorni ricordo il gran numero di iniezioni che mi facevano… Tra i segni degli aghi sulle braccia e le macchie rosse che mi avevano ricoperto il corpo, ero irriconoscibile. Dall’isolamento, però, mi hanno finalmente passato in corsia dove, anche se ero sempre molto debole, trovavo il tempo per ridere. Poi c’era l’infermiera: una giovane russa molto solerte e decisa, soprattutto quando si trattava di farmi le iniezioni. Arrivava tutte le mattine alle 7, implacabile anche se magari mi ero addormentata da appena due ore. Quando la vedevo, urlavo terrorizzata: «No! Lei no!». E guardavo le mie povere braccia ridotte a un colabrodo.

Anni dopo è arrivata la forma batterica

Dopo due settimane di ospedale sono tornata a casa e i medici mi hanno consigliato di vaccinarmi contro la meningite batterica, quella più grave. Un vaccino da ripetere ogni tre anni. Per un po’ le cose sono andate bene, mi sentivo sicura. Ma a 21 anni, mentre mi trovavo in vacanza in Sardegna, una vacanza non particolarmente felice perché ero in crisi con il mio fidanzato di allora, ecco di nuovo la febbre, il mal di testa fortissimo, un senso di debolezza talmente profondo che mi sentivo svuotata dentro. Quando mi hanno ricoverato d’urgenza, la conferma: era di nuovo meningite, provocata da un tipo di meningococco (un batterio) che il mio vaccino non copriva. Che sfortuna. Ma anche: che lezione di vita. Forse non è stato un caso che la ricaduta sia arrivata in un momento in cui vivevo una situazione di stress. Ed è vero, questa disavventura me l’ha confermato, che bisogna occuparsi con grande attenzione della nostra mente, per rendere forte anche il corpo.

Dopo ero più forte di prima

Altrimenti spiegatemi come ho fatto nel 2004 ad andare tra i terremotati di Haiti, in mezzo a mille possibili agenti infettivi, senza ammalarmi. Però ero piena di fervore per aiutare quella gente in difficoltà, mi sentivo utile e forte, dentro e fuori. La meningite mi ha cambiato davvero la vita, anche da un altro punto di vista. Se non mi fossi ammalata, a 18 anni avrei dovuto fare il servizio militare, per 24 mesi, com’è dovere di ogni ragazzo e ragazza israeliani. Invece io sono stata esonerata, per effetto della meningite, e ho lasciato il mio Paese, lanciandomi nella carriera cinematografica. Per chi soffre o ha sofferto di gravi patologie, l’esercito non vuole correre il rischio che il male possa ripresentarsi magari mentre sei in azione, in mezzo al deserto. È proprio quello, purtroppo, che è capitato a mia sorella l’anno scorso. Shami si è ammalata in missione e ha rischiato la pelle. Ho convinto anche lei a lasciar perdere. Adesso vive con me a Los Angeles. E io sono più serena.

Moran Atias (testimonianza raccolta da Barbara Rossi)

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