Paesaggi mozzafiato, aria pulita, temperature estive fresche: il fascino dell’alta montagna attrae un numero crescente di persone, grazie a infrastrutture e attrezzature sempre più moderne che consentono di raggiungere con relativa facilità quote oltre i 2.500 metri. Resta il fatto che oltrepassare determinate altitudini dev’essere affrontato con consapevolezza e preparazione e non può essere vissuto come un’esperienza di turismo «mordi e fuggi» come talvolta accade, anche con serie conseguenze. I rischi sono diversi, a partire dai problemi che un’altitudine a cui non si è abituati può causare all’organismo.
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Mal di montagna: cos’è e sintomi
«Quando si sale diminuisce la pressione barometrica e, con essa, scende anche la pressione dell’ossigeno all’interno del nostro organismo», spiega Lorenza Pratali, cardiologa presso l’Istituto di fisiologia clinica del CNR di Pisa e presidente della Società Italiana di Medicina di Montagna – SIMeM.
«Nonostante il quantitativo di ossigeno nell’aria rimanga sempre il 21%, a causa della riduzione della pressione non si riesce a incamerarne lo stesso quantitativo che si introduce con la respirazione al livello del mare. Questa condizione viene chiamata ipossia e scatena una serie di risposte nell’organismo per adattarsi. In alcuni casi questo processo di acclimatamento può invece evolvere in alcune condizioni patologiche. Tra queste, il mal di montagna – o meglio, la malattia acuta di alta quota – che si può sviluppare in caso di esposizione a quote superiori a 2.500 metri, con un’incidenza stimata intorno al 30% sulle nostre Alpi. È una sindrome caratterizzata dalla presenza di cefalea associata a disturbi gastrointestinali (nausea vomito, diarrea), senso di fatica eccessiva, sensazione di testa vuota e/o vertigini, disturbi del sonno».
Prevenire il mal di montagna
Acclimatamento
Per prevenire il mal di montagna occorre adattarsi gradualmente. «L’acclimatamento, ben noto alle persone che scalano le altissime quote, è purtroppo poco utilizzato da coloro che vanno sui nostri 4.000, dove c’è spesso una gara a chi sale più rapidamente», continua la presidente SIMeM. «A maggior ragione perché questa sindrome può colpire tutti, anche esperti alpinisti che hanno fatto più volte la stessa salita. L’uomo non ha sempre le stesse risposte con l’esposizione alla quota e questa variabilità può essere causata da situazione contingenti esterne, ad esempio temperature più basse, oppure da particolari condizioni momentanee di salute, come un banale raffreddore che può alterare le risposte all’esposizione alla quota».
L’acclimatamento consiste in una salita graduale con brevi stazionamenti: una volta superati i 2.500-3.000 metri si dovrebbe aumentare l’altitudine non più di 500-600 metri e fermarsi a dormire per una notte. Inoltre si dovrebbero prevedere ogni tre o quattro giorni delle giornate di riposo, durante le quali si dovrebbe dormire alla stessa altitudine per almeno due notti consecutive. In generale, più lenta è l’ascesa, maggiore è il tempo di acclimatamento e minore è il rischio di malattie e sintomi da altitudine.
Accorgimenti da adottare durante l’ascesa
Oltre all’acclimatamento, per prevenire il mal di montagna è importante, durante l’ascesa:
- idratarsi: per avere un’idea della quantità, bere almeno tre litri d’acqua al giorno per quote superiori ai 3.000 metri;
- evitare sforzi eccessivi considerando la riduzione di ossigeno, non ripetendo le proprie prestazioni che si fanno normalmente a livello del mare;
- non bere alcolici perché l’alcol potrebbe deprimere la risposta respiratoria compensatoria, soprattutto di notte.
Farmaci come profilassi
Per l’eventuale utilizzo di farmaci come profilassi (per esempio, acetazolamide o betametasone) è necessario contattare un dottore competente in medicina di montagna per valutarne l’indicazione e le modalità d’uso. Le persone che hanno avuto episodi ripetuti di malattia acuta di alta quota devono programmare con un medico specialista nel settore la modalità di salita e attuare un’eventuale profilassi, informando la guida alpina se si fanno accompagnare. Se dopo alcune ore di stazionamento in quota si dovessero manifestare i sintomi del mal di montagna occorre adottare alcuni accorgimenti:
- Riposare. Se i sintomi dovessero peggiorare tanto da non riuscire a svolgere le normali attività, allora il riposo non è sufficiente, ma è indicato scendere di almeno 500 metri lentamente, senza fare eccessiva fatica.
- Assumere farmaci. Al bisogno si possono prendere farmaci analgesici come ibuprofene o paracetamolo per la cefalea o degli antiemetici per contrastare la nausea, ma l’utilizzo dev’essere concordato con il proprio medico curante prima di salire ad alta quota. Se la cefalea, nonostante gli analgesici, non dovesse passare o dovesse peggiorare, è opportuno scendere di almeno 500 metri.
- Continuare a idratarsi: è fondamentale perché si disperdono più liquidi con la secchezza dell’aria e con il respiro che si fa più frequente.
Se la sintomatologia peggiorasse e si notassero cambiamenti preoccupanti del tono dell’umore o sonnolenza è meglio chiamare i soccorsi.ù
Chi dovrebbe evitare di superare i 2.500 metri
In alta quota, la pressione arteriosa aumenta proporzionalmente all’altitudine raggiunta, e questo accade soprattutto di notte e più facilmente nelle persone avanti con gli anni. Per questo il rischio cardiovascolare negli individui ipertesi che volessero oltrepassare i 2.500 metri dev’essere valutato attentamente con il medico, predisponendo un eventuale aggiustamento della terapia farmacologica.
Altre condizioni che rendono controindicata la salita in alta quota, anche con l’auto o la funivia, sono:
- l’insufficienza cardiaca scompensata e l’angina instabile;
- l’ipertensione polmonare, associata o meno a broncopneumopatia cronica ostruttiva avanzata;
- l’aver subito infarto miocardico o ictus cerebrale nei 90 giorni precedenti;
- anomalie cerebrovascolari ad alto rischio non trattate (aneurismi, malformazioni artero-venose);
- problemi neurologici come crisi epilettiche scarsamente controllate;
- gravidanza ad alto rischio.
«Chi soffre di emicrania con aura dovrebbe limitare i soggiorni prolungati in alta quota, per un aumentato rischio di eventi cerebrovascolari, soprattutto se fumatori, obesi, ipertesi o donne che assumono estroprogestinici (anticoncezionali o terapie sostitutive in menopausa, ad esempio)», aggiunge Lorenza Pratali. «È bene tenere presente che la minor concentrazione d’ossigeno in altitudine può aumentare la frequenza e l’intensità degli attacchi ed è quindi consigliato un colloquio con lo specialista per valutare un’eventuale profilassi e per concordare i farmaci da portare con sé».
Chi può superare i 2.500
Bambini
I piccoli tra i due e i cinque anni possono salire fino ai 2.500-3.000 metri, ma occorre cautela poiché a questa età non è sempre facile per i bambini descrivere e comunicare eventuali sintomi. Nella fascia d’età compresa tra cinque e dieci anni questa altitudine è in genere ben tollerata, anche se occorre sempre vigilare su una possibile insorgenza del mal di montagna. Quindi, quando si decide di andare in alta quota con i bambini, è bene fare una salita graduale e lenta, con diverse soste (esistono stazioni intermedie delle funivie che portano oltre i 2.500 metri), per consentire loro di acclimatarsi.
Anziani
E per quanto riguarda gli anziani? Tutto dipende dallo stato di salute individuale, ma occorre tener presente che, anche in caso di una persona sana, dopo una certa età alcuni meccanismi fisiologici subiscono variazioni. Se statisticamente dopo i 60 anni il mal di montagna è meno frequente, gli episodi di ipotermia sono però maggiori perché la termoregolazione si modifica con l’età. Inoltre, si riduce la portata cardiaca, diminuisce la capacità polmonare, le pareti dei vasi si irrigidiscono. «Sono tutti cambiamenti che possono portare a un eccessivo affaticamento», conclude la specialista. «Per questo è sempre necessario consultarsi con il proprio medico prima di avventurarsi in quota».
Come raggiungere la vetta senza farsi venire il mal di montagna
Ecco un esempio di acclimatamento che può essere praticato sulle nostre montagne. Se una persona decidesse di salire sulla vetta del Gran Paradiso (quota 4.061 metri), sarebbe consigliabile nei weekend precedenti effettuare delle salite a quote crescenti.
Si può ipotizzare una prima gita fra i 2.500 e i 3.000 metri con pernottamento tra 2.500 e 2.700 metri; nel fine settimana successivo una salita fra i 3.000 e i 3.500 con pernottamento a 2.700-2.800. Nel terzo weekend a questo punto si è ottenuto un buon acclimatamento e si può salire in sicurezza fino alla cima dividendo la salita in due giorni con pernottamento in uno dei rifugi del Gran Paradiso. Altrimenti, se non si ha tutto questo tempo a disposizione, l’indicazione sarebbe salire oltre i 4.000 facendo una salita a step per un totale di quattro giorni.