L’arte della vita sta nell’imparare a soffrire: per me è molto più di un aforisma del premio Nobel Herman Hesse. In un’epoca nella quale ormai esiste una medicina in pillola, in polvere o liquida in grado di anestetizzare gli effetti fastidiosi di qualsiasi malanno o infortunio, evitando che si trascinino nel tempo, io sono costretta a convivere con il dolore, usando al massimo i rimedi della nonna. Sì, perché sono allergica ai farmaci antidolorifici e antinfiammatori, i primi che spesso e volentieri i medici consigliano di assumere quando si hanno problemi di salute. Così, tanto per fare un esempio, se mi viene la febbre, niente tachipirina o simili: devo ricorrere al classico panno imbevuto nell’acqua gelida da mettere sulla fronte. Le soluzioni medicinali, infatti, comportano eritemi, tachicardie, aritmie, fastidi alla gola… Per fortuna non mi ammalo spesso!
Sono allergica ai farmaci “comuni”
Un’allergia che ho scoperto di avere solamente a 16 anni: prima non avevo mai avuto un
problema che fosse uno, non dico con le medicine, ma anche con eventuali intolleranze
alimentari o allergie respiratorie. Poi l’ho scoperto una notte, dopo aver preso, prima di andare a letto, mezza bustina di Oki, un antidolorifico tra i più comuni e che avevo già utilizzato più volte in passato. Verso le 4 del mattino mi sono svegliata con una sensazione terribile, quella di non poter aprire gli occhi. Ovviamente mi ha assalito il panico: «Cieca, sono diventata cieca». A tentoni sono scesa dal soppalco in cui avevo il letto e, andando praticamente a memoria, ho raggiunto la camera dei miei genitori: «C’è qualcosa che non va!». Appena mia madre ha acceso la luce, si è lasciata andare a un gridolino di stupore e paura: per il gonfiore avevo gli occhi più grandi delle mie mani strette a pugno. Ecco perché non riuscivo ad aprire le palpebre.
Sono corsa al pronto soccorso
I sanitari del pronto soccorso dell’ospedale di Messina, dove sono stata subito portata, mi
hanno fatto un’endovena di cortisone, spiegandomi che avevo avuto una reazione allergica all’Oki: «Meno male che ne avevi preso solamente mezza dose, perché altrimenti l’effetto avrebbe potuto essere di gran lunga peggiore». Ho impiegato diverse ore prima di riacquistare completamente l’uso degli occhi. Non solo. Le mie stamine erano talmente scombussolate che, nei giorni immediatamente successivi, mi sono ritrovata allergica praticamente a tutto, dalla pasta con il pesto alle fragole.
Poi i test per capire a quali farmaci ero allergica
Un mese dopo ero di fronte all’allergologo per effettuare test con cui capire quali farmaci il mio organismo non tollerasse. Nonostante allora fossi tornata nuovamente a stare bene, mi hanno tenuto in ospedale una decina di giorni, perché le prove allergiche riguardanti i medicinali comportano un periodo di ricovero, essendo maggiormente delicate e complesse di quelle, per esempio, sugli alimenti o i pollini. In un susseguirsi di bicchierini e pillole, mi hanno somministrato tutta una serie di farmaci, alcuni contenenti la stessa molecola dell’Oki e altri no, per cercare di capire quali potessi continuare assumere in futuro e quali, invece, dovessi evitare. Insomma, mi sentivo una specie di cavia da laboratorio.
Alla fine il responso (deludente)
E la delusione è stata grande quando, al posto di una diagnosi chiara e inequivocabile, gli specialisti mi hanno detto che il caso era strano. La stessa molecola di un medicinale mi creava a volte reazioni allergiche e altre no: «Evidentemente a dare problemi è quando si associa a qualcosa d’altro». Ma che cosa? Per capirlo sarebbe stato necessaria un’infinita serie di tentativi e altre settimane di ricovero, fatto che mi ha scoraggiato dal sottopormi ad altri test. Così sono stata dimessa senza risposte definitive, ma solo con la raccomandazione di evitare l’Oki e tutta una lista di medicine, come la tachipirina, che comunque ogni tanto sono costretta ad assumere, e inspiegabilmente mi fa male due volte su tre.
Mi sono dovuta adeguare
Perciò, quando nel 2011 mi sono fratturata un ginocchio scivolando in doccia mentre mi trovavo negli Stati Uniti, ho dovuto accontentarmi del ghiaccio per lenire il dolore. Due anni fa, invece, mi è venuta la polmonite in seguito a un incidente subacqueo, mentre stavo facendo un’immersione con le bombole, e il dottore mi aveva prescritto un antibiotico tramite iniezione, il quale, però, mi causava una febbre alta che spariva misteriosamente dopo mezz’ora. Non so se era una vera allergia, di certo ho dovuto cambiare terapia.
Per non farmi mancare niente, nello stesso anno in cui sono stata eletta Miss Italia, il 2013, ho sofferto anche di una rara complicazione a seguito di un incidente stradale. A gennaio ero ferma a uno stop quando sono stata tamponata violentemente da un’altra vettura, che manco ha provato a frenare. Morale: prescrizione medica di almeno due mesi di collare. Peccato che dopo neanche un mese io abbia iniziato a soffrire di vertigini. Se stavo ferma barcollavo e cadevo, se camminavo, sbandavo finendo contro le pareti. E, se all’inizio questi attacchi mi colpivano un paio di volte al giorno, con il passare del tempo la frequenza era diventata di minuti. Tutta colpa della rigidità comportata dall’indossare il collare, che sono stata costretta a togliere ben prima del tempo stabilito, sostituendolo con sei o sette mesi di fisioterapia quotidiana. Ma non mi ha impedito, a ottobre, di diventare Miss Italia. Dal collare alla corona!
Giulia Arena (testimonianza raccolta da Marco Ronchetto per OK Salute e Benessere)
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